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Krishna Biswas con Radha, il nuovo album del chitarrista toscano di origine indiana.


Avviso subito che siamo di fronte a un disco impegnativo ed esigente che mette alla prova l’ascolto e la concentrazione. Dunque sarà difficile non procedere per allegorie e metafore nella descrizione di quanto scorre dentro questo vinile, visto che non ho la preparazione per poterlo osservare come meriterebbe.

Torniamo a parlare di Krishna Biswas, compositore e chitarrista toscano di origine indiana e parliamo di questo nuovo lavoro dal titolo Radha. Sono 15 brani, arricchiti anche dalla grafica sempre puntuale e visionaria dell’artista “frenopersciacalli”.

Ascolto lungo dicevamo, 15 brani di sola chitarra acustica di cui solo 10 vengono riportati nella versione in vinile. Subito va segnalato che di queste composizioni, Helsinki è l’unica già edita da Biswas, pubblicata sul disco Sfacelo azzurro del 2008: straordinario serpente di note che a valanga scendono su pendii irlandesi a mostrarmi felicità, speranza e voglia di vita. E poi a chiudere troviamo Maggese che è stata registrata all’impronta come risultato di una vera e propria improvvisazione. Plug and Play. Il suono scende di volume e dinamica, forse proprio a testimoniare la verità del momento…

E l’improvvisazione non trova spazio soltanto in questo episodio del disco ma, a quanto leggo dalle corpose note di stampa, sono diversi i momenti che arriva puntuale ad arricchire i colori delle scritture. Brani dal dialogo severo e psichedelico, di ordini irregolari e accordature poco convenzionali, dialoghi visionari che non danno appiglio quotidiano se non in rare ricorrenze di tapping e momenti riflessivi in cui tutta la composizione del mosaico pare concedere tempo e spazio all’ascolto di usare la fantasia e di riflettere.

Noto come nella bellissima sospensione di Foresta, le soluzioni armoniche e melodiche dei singoli accordi e dei successivi sviluppi sono davvero poco scontati, fosse anche solo per dettagli piccolissimi che chiudono e aiutano allo sviluppo del fraseggio stesso. Apprezzo questo suono completo che celebra tutto dello strumento, finanche quei leggeri e rarissimi “disturbi” che fanno le corde quando “friggono”, specialmente sui cantini. A volte penso che si lascino in luogo di un’esecuzione complessiva davvero importante.

Colpisce il divenire di Radura, in cui sono 4 le parti che si susseguono per un brano che dura oltre i 6 minuti. La radura di pensieri iniziali che lascia il posto ad un rocambolesco incedere di percussioni ritmiche e di nuovo il silenzio che poi lascia spazio ad una coda di armonici leggeri che ci sospendono assieme ai riverberi di questo suono… il rintocco finale, come la coda della campana di lontano… tutto questo è operistico e classico, tutto questo potremmo anche definirlo progressive.

Radha è un disco difficile da ascoltare, al quale non possiamo che abbandonarci nel vederci dentro quel che più ci rappresenta. Ci troviamo anni luce lontano dalle codifiche che possiamo farne, almeno parlo per tutti quelli come me che hanno un’educazione pop della musica. Ma sicuramente, a volerlo affrontare con intelligenza e apertura ad altro, Radha come aveva saputo fare il suo precedente disco Panir, sa come staccarci da terra e farci andare in un altrove in cui esistono solo le verità di noi stessi. (Alessandro Riva)

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MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 29 Ottobre 2019

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