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Glaxo Babies – Dreams Interrupted: The Bewilderbeat Years 1978-1980 (2006)

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Una antologia doverosa e da alcuni anche attesa per una band che in vita non ha avuto alcuna fortuna. L’interesse per il gruppo nasce dall’esser stato uno di quelli anelli di congiunzione tra il rock degli anni ‘70 e la new wave, scaturita poi dal punk, alla fine di quel decennio. Il libretto d’accompagnamento (per la copertina si poteva far di meglio, magari utilizzando i bizzarri manifesti che gli stessi babies appiccicavano in giro per reclamizzare i loro rari concerti, piuttosto che una sfocata e bruttina foto) ne racconta la storia, con un brillante e a tratti irresistibile british humour da parte di Rob Chapman. Una storia comune a molti di quei nomi che sono rimasti ad apannaggio dei soli addetti ai lavori per molti anni. Glaxo Babies (dall’omonima industria farmaceutica) sono stati una meteora un po’ lunga. Nel senso che qualche anno son durati e non tanto per tigna propria quanto perché, come spiega il libriccino, le loro cose si evolvevano davvero lentamente rispetto a ciò che avveniva intorno a loro in quegli anni particolarmente aggrovigliati e creativi. Ah, la provincia! Siamo nel 1977 e i Glaxo (ci sono anche Dan Catsis, ex Pop Group e Tom Nichols) sono un po’ atipici e distaccati rispetto ai coevi Pistols, Siouxie, Stranglers e Clash. Il loro suono scarno e spigoloso non aveva poi in realtà l’urgenza del punk della prima ora, pur possedendo certe caratteristiche che li fecero apparire comunque nuovi e diversi (e quindi assimilabili al punk) dal rock che nel corso dei ‘70 si era dipanato: scarsa indulgenza nei temi sonori, nevrosi, elettricità, forte urbanità, un discreto scazzo ed una voglia di recuperare quell’aria di rock fortemente “vissuto” appartenuto a gente comparsa dieci anni prima (Velvet Underground, tanto per…). Non bizzarramente, dunque, i nostri possono essere considerati tra i progenitori di quella sorta di tribalismo industrial che, pur non arrivando agli eccessi di Cabaret Voltaire e vari altri coevi, aveva comunque poco a che vedere con il punk rumoroso tre minuti tre dei personaggi sopraccitati e sicuramente avrebbe trovato nel decennio successivo epigoni rispettosi in certo gotico industriale che attraversò tutto il decennio (a riprova di ciò il racconto del loro buffo incontro con i Cure di Three Imaginary Boys, siamo nel ‘79). Forse il gruppo più vicino ai Glaxo furono i coevi magnifici Wire dei primi 2 dischi, più concettuali, geometrici nonché molto più convinti della loro arte. Comunque i Glaxo ci misero un bel po’ di tempo ad uscire fuori. Troppo, in effetti. Quando finalmente una audience più numerosa fu sul punto di scoprire la banda di Bristol ecco che loro, semplicemente, non c’erano già più ed ai posteri fu demandato il compito di esaltarne le semplici gesta per procurar loro un culto sotterraneo esile ma duraturo nel tempo. Nel tempo anche i loro testi, satirici, irrazionali ed a volte dissacranti furono rivalutati. Il primo album, Nine Minutes To The Disc, uscì nel 1980, per la Heartbeat. Il gruppo era già una sorta di ricordo per alcuni suoi componenti e per quei pochi che assistettero a quella manciata di concerti che ne segnarono lo sghembo cammino. (Massimo Bernardi)

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