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Recensione: Robyn Hitchcock – Spooked (2004)

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Sono lontani i tempi di Black Snake Diamond Role (1981) quando Robyn Hitchcock, lasciatosi alle spalle l’esperienza dei Soft Boys, decise di imboccare la strada che – nel giro di qualche anno – lo avrebbe portato a realizzare un album memorabile come I Often Dream Of Trains (1984), raccogliendo in qualche modo l’eredità di Syd Barrett. Da allora è trascorso quasi un quarto di secolo[1] e l’Hitchcock della maturità, per esser chiari questo di Spooked, somiglia sempre più a un cantautore americano, quasi dylaniano, preso a tirar fuori dalla chitarra acustica splendide canzoni di matrice folk e country. Non a caso i brani che compongono il disco sono stati registrati a Nashville con il contributo di Gillian Welch e David Rawlings. Ecco, quindi, che tra rimandi nostalgici (English girl), ballate stralunate (Everybody needs you, Sometimes a blonde), canti a cappella (Demons and fiends) e sottili allusioni di pop e ironia (Television), si levano su tutte Full moon in my soul e Flanagan’s song, gli episodi migliori di un’opera intensa, brillante e particolarmente ispirata. Uno sfavillante intreccio acustico sospinto, qua e là, da ritmiche contenute in cui trovano spazio la stravagante Welcome to earth (breve interludio vocale), Creeped out (il frammento più ruvido e rockeggiante del disco) e Tryin’ to get to heaven before they close the door di Bob Dylan, lieve come il vento che sfiora il paradiso. È il caso di procurarsene una copia, possibilmente originale. (Luca D’Ambrosio)

[1] Questa recensione è stata pubblicata su ML – n. 8 del 9 maggio 2005

Television

Flanagan’s Song


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