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Recensione: Richard Hawley – Coles Corner (2005)

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Richard Hawley è uno di noi. Una di quelle persone che, malgrado la vita gli abbia riservato qualche spiacevole episodio (tale da fargli crollare addosso sogni e speranze relegandolo per un po’ di tempo in quella zona oscura dell’umana esistenza), continua a confidare in quella eterna conflittualità dell’animo che soltanto un sentimento così indefinibile e straordinario come l’amore può provocare. Una di quelle persone che, terminata l’esperienza come chitarrista nei Longpigs, ha saputo risalire la china dello sconforto e del disagio umano (molto lo si deve anche all’amico Jarvis Cocker dei Pulp) riuscendo a trovare, finalmente, una propria dimensione umana e artistica. Uno spazio a sua immagine e somiglianza in grado di rivelare, fin dall’omonimo EP d’esordio del 2001, la figura di un uomo estremamente fragile e romantico il cui talento (alias fervore artistico) culmina in questo splendido Coles Corner del 2005 dove, non a caso, il titolo dell’album fa riferimento a un angolo di Sheffield dove tutti gli innamorati sono soliti darsi appuntamento (chissà quante volte ci siamo trovati in un Cole’s Corner qualsiasi ad aspettare ansiosi l’arrivo della nostra amata). Le iniziali Coles Corner, Just Like Rain e Hotel Room sono canzoni che fanno immediatamente breccia nel cuore di chiunque, attraverso una combinazione perfetta di testi pregni di passione, suoni di chitarre ovattate e arrangiamenti ricchi e ben equilibrati dove si leva la voce calda e profonda di Richard Hawley. Alla maniera di Roy Orbison, Johnny Cash e Scott Walker, il nostro songwriter, nonostante le sue origini inglesi e un passato britpop, cesella un disco di “ballate americane” davvero impeccabili come Born Under A Bad Sign, Tonight e The Ocean. Un lavoro “rock” di gran classe, intimo e al contempo vibrante, che mescola sapientemente country, pop e swing, e su cui aleggia lo spirito del mai dimenticato Elvis Presley. Quarantasei minuti di brani che sfiorano la raffinatezza di Frank Sinatra, l’armonia di Burt Bacharach e il lirismo di Leonard Cohen. Undici tracce dolci e amare che, lentamente, si stemperano sulle note conclusive dell’unico pezzo strumentale del disco, Last Orders. Prodotto dallo stesso Richard Hawley e da Colin Elliot, Coles Corner è un album per chi nella musica non cerca fragori ma forti emozioni. Magico, malinconico e per nulla alternativo come lo è ogni Natale che viene. (L.D.)

[1]Recensione pubblicata su ML – n. 60 del 15 dicembre 2008


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