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Posidonia. I fondali della metropoli: intervista a Nino Bruno.


Con Nino Bruno ci eravamo lasciati nel 2011 con “Sei Corvi Contro il Sole”, album che molti di voi ricorderanno non solo per le sue atmosfere beat accattivanti e demodè, ma anche per quella “Every Single Moment in My Life Is a Weary Wait” inclusa nella soundtrack del film “This Must Be The Place” di Paolo Sorrentino. Da allora sono passati circa tre anni, e il buon Nino è tornato con un’altra meraviglia musicale che prende il titolo di “Posidonia. I fondali della metropoli”, che poi altro non è che la colonna sonora dell’omonimo film-documentario di Marcello Anselmo. Buona lettura.

Intervista a Nino Bruno di Luca D’Ambrosio

Allora, Nino, ci siamo lasciati nel 2011 con quel “Sei corvi contro il sole”, album di una bellezza apparentemente frugale che, tuttavia, trafugava sensazioni ben più profonde e psichedeliche. Ora, invece, ci ritroviamo di fronte a una colonna sonora estremamente suggestiva fin dalle prime battute. Ci racconti come sei arrivato a scrivere le musiche per questo film-documentario e che tipo di approccio hai avuto nel realizzarle?
Il punto di partenza è stato il testo iniziale del regista Marcello Anselmo. In un secondo momento, insieme, davanti alle immagini, siamo scesi nel dettaglio. Sia il testo sia il girato suggerivano l’idea del sommerso come fantasma vivo che incombe sul mondo di superficie, dell’abisso come necessità esistenziale, mistero e limite invalicabile, che affascina e atterrisce.

La musica elettronica che viene fuori da questo lavoro non è per niente algida e sembra seguire dei canoni sonori che non hanno nulla a che vedere con il mondo digitale. Insomma, mi sembra di capire che anche questa volta tu abbia tenuto fede al “Dogma 8”, oppure mi sbaglio?
Come faccio ormai dal 2004 ho ripreso e missato su nastro, usando solo effetti elettromeccanici, nel limite di otto tracce. A parte una batteria elettronica del 1965 e un piccolo synth monofonico usato con parsimonia non ci sono strumenti elettronici nel senso comune del termine, niente sequenze, niente arpeggiatori, niente computer, niente campioni, niente midi. Tutto è affidato alla dinamica dell’esecuzione, al missaggio e agli ambienti. In particolare due brani, “Second sphere” e “Pacchetto magico” sono session “live” in studio eseguite da me e Massimiliano Sacchi, e registrate su appena due canali. Dogma 2!

Cosa significa e quanto è importante per te la ricerca musicale?
Non do troppa importanza a questa espressione. Cosa è ricerca e cosa non lo è?

E la nostalgia?
Il passato idealizzato, a volte anche strumentalmente mitizzato (nel mio caso l’era Beat), è un oggetto mentale che abita in un non-tempo. La nostalgia infatti non sembra indirizzata verso ciò che c’era – così com’era – e non c’è più. Pre-esiste ai ricordi, li manipola e se ne nutre. Nemica della storia, essa riguarda il sogno, l’impossibile che poteva essere, le linee di probabilità alternative, l’ideale edenico. Irrinunciabile peculiarità umana, il suo prevalere può essere letale e condurre all’immobilismo.

“Posidonia. I fondali della metropoli” è una colonna sonora fatta di tanti particolari sonori. Quanto tempo ci hai lavorato su e, oltre a Massimiliano Sacchi, con chi altro eventualmente hai collaborato?
Il grosso del lavoro è stato fatto in un mese. I tempi sembravano inizialmente molto stretti. Collaboratore principale in studio è stato il già citato Massimiliano Sacchi. La title track è suonata col batterista di NB e le 8 tracce Peppe Sabbatino. Importante è stata la presenza in studio di Giulio Milone, che mi ha aiutato a tenere in efficienza macchine piuttosto antiche. Nel disco c’è un brano, “Sonorizzazione 2: Macerie della civiltà”, interamente scritto e suonato da Fabrizio Elvetico – del gruppo Illachime Quartet – che nel film curava il sonoro.

Quanto la senti vicino a te e alla tua Napoli?
“Posidonia, I fondali della metropoli” non è altra cosa rispetto ai tre dischi di Nino Bruno e le 8 Tracce. Per ovvie ragioni – è una colonna sonora e non ha testi, tranne una frase – risulta meno ambiguo, più semplice dei precedenti.
Napoli, poi, è una città famosissima, importante. La sua capacità di creare un “immaginario” è spaventosa. Ma ci sono tante di quelle sfumature nel nostro linguaggio e nei nostri atteggiamenti, abituati come siamo a vivere uno addosso all’altro, che davvero non saprei dire quale sarebbe la mia Napoli. Spero di dare il mio contributo portando un tocco di gentilezza e di onestà intellettuale.

“Una moneta in tasca una corona in testa” è l’unico pezzo cantato messo a chiusura di un album strumentale. Ecco, al di là delle esigenze di produzione di Posidonia, ti senti più un autore o un cantautore?
Non è un dissidio lacerante. Comunque io mi sento sostanzialmente un rocker allo sbaraglio.

Hai più sentito Paolo Sorrentino?
Ogni tanto.

A proposito: qual è il tuo giudizio su “La Grande Bellezza”?
Un film fantastico, volutamente doppio. Sembra un film di critica socio-politica ma c’è di più. Il protagonista è a suo modo un asceta, che si spoglia delle cose cui normalmente diamo valore: il lavoro come rappresentazione di se stessi, la considerazione sociale, i ruoli e i passaggi della vita, gli orari. Pratica la mondanità con costanza e disciplina, è il suo strumento di ricerca spirituale. In lui non c’è nulla di demoniaco. È piuttosto un materialista romantico e leopardiano, sopravvissuto in un’epoca di fedi ostentate e fanatiche, di delirio di appartenenza. Un libero pensatore, infine. Neanche snob visto che balla i remix della Carrà alla sua festa di compleanno. Certo può permetterselo, ma questo vale per tutti i pensatori (filosofi, artisti, scrittori che siano). Io non sono affatto ricco, ma se non avessi di che mangiare “Posidonia…” me la sognerei la notte, più che altro per i polpi, le seppie e i frutti di mare che appaiono nel film.

Quale sarà il tuo prossimo progetto?
Il nuovo disco di NB e le 8 Tracce è già in preparazione. Uscirà entro l’anno.

Prima di salutarci, ci consigli un film e un disco che ti sono piaciuti particolarmente?
Come film mi colpì parecchio “Cloud Atlas”. Mi piacque anche la critica, che lo definì “un fallimento spettacolare”. Il film che amo di più però resta “Grand Hotel”, quello del 1932. Con i dischi vado a periodi, ne sento uno per giorni e poi cambio. Questo è un luogo frequentato da ascoltatori di musica e preferisco non scoprirmi troppo. Ultimamente ascolto molto “Travel-log”, di J.J. Cale.

Trailer “Posidonia. I fondali della metropoli”



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