Recensione: Silversnake Michelle – Her Snakeness (2016)

Il nuovo disco di Silversnake Michelle e la nostra intervista

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Il nuovo disco di Silversnake Michelle ha tonalità scure e poco propense al buon pensiero. In breve, ecco cosa detta l’istinto e cosa genera scorrendo con attenzione le quattordici tracce di questo nuovo album dal titolo Her Snakeness.

Titoli contorti, nomi d’arte epici che richiamano – ovviamente – rettili e tutto ciò che l’iconografia a essi riporta. La copertina che celebra American Beauty, solo che non ci sono rose sul corpo nudo di lei ma, manco a dirlo, serpenti. Epico, non medievale ma appena progressivo, un disco che a suo modo ignora la forma canzone popular – e questo ci sta benissimo – ma mescola le sue carte in una ridondanza di intenti e di fantasia che sinceramente disorienta.

Un disco complesso che in lunghi tratti fa perdere il filo logico e la via di casa rischiando di non arrivare mai al punto. Il classico epic rock inglese da chi inglese non è, men che meno americano, ma si ostina a vestirne i panni. Peraltro, mal giocati gli effetti digitali che spesso restituiscono poca maturità nella direzione artistica. Tra tutti, in base a questo mio ultimo ragionamento, segnalo il brano Backwards in cui le sibilanti della “s” nella coda dei riverberi è davvero fastidiosa. Va detto però che il disco è ben più complesso di una recensione che non vuol avere saccenza e presunzione di saperne più di chi ha sudato e faticato per compiere un’opera che si chiude tra i contorni di un disco in plastica.

E di sicuro sottolineo il grande impatto scenico e visionario che questo progetto di Silversnake Michelle ha sull’immaginario di chi ascolta. Unendomi al coro di molte voci, trovo che il teatro e il musical rendano enorme giustizia e splendore a qualcosa che, forse, nella forma disco si priva di una enorme fetta di tutta la sua bellezza. E di bellezza, credo, ce ne sia davvero tanta… (Alessandro Riva)

Intervista a Silversnake Michelle di Alessandro Riva

Quanta notte dietro questo lavoro?
Moltissima notte, in tutti i sensi, sia per il fatto che scrivo solo di notte sia per i contenuti.? La notte rilascia delle energie pazzesche; aiuta la composizione e l’immaginazione. Fa paura, ma al tempo stesso, è rilassante e meditativa. Le forme e i colori prendono vita. Tutto si confonde e la realtà diventa irreale.

Idee di arrangiamento e di scrittura: quanto è studiato al tavolo su carta, quanto è lasciato al caso del momento?
È molto di getto. È tutto molto istintivo anche se poi rifinito nei dettagli. Volevo fare uscire le emozioni più nascoste ed esplorare cose per me nuove. Lasciare fluire la fantasia e l’immaginativo che non ha schemi predefiniti. Anche per spiegare gli arrangiamenti, non mi sono mai spiegata con linguaggio tecnico musicale, ma raccontavo la storia della canzone, e i musicisti entravano nel mood e lasciavano esplodere le loro idee.

Progressive italiano: non è questo il caso ma pare volersi avvicinare molto. Che ne pensi?
Be’, non amo molto classificare il mio genere. Forse Snake Rock, ma sono stata anche più provocatoria nel definirlo. Racconto delle storie in ogni brano, quindi la canzone può prendere una piega particolare a un certo punto, come un racconto. Non sai mai quello che c’è dopo. Infatti la mia è una ricerca sperimentale di quello che sono attraverso la musica e le immagini. Volevo teatralizzare questo disco.

Ascolti, artisti, dischi. Quali sono i riferimenti di Michelle?
Ascolto solo musica che mi emoziona. Può non essere musica particolarmente colta, ma magari ha dentro di sé un’anima intensa o un messaggio forte. Puoi essere anche uno dei musicisti più grandi sulla Terra, ma se non hai passione e emozione mi annoia terribilmente e dopo dieci secondi di canzone passo ad altro. Amo molto il rock anni ‘70, così vero e libero. Amo la sperimentazione e le sonorità indiane e arabe. L’ispirazione arriva prima di tutto dai quadri poi dalla musica. In particolare da Escher, Magritte, de Chirico e Dalì. Insomma tra surrealismo e metafisica. Cerco di dare un suono a quelle immagini. D’altronde la musica è fatta non solo di suoni, ma anche di colori.

Un disco – potremmo dire – iconografico. Pieno di immagini. Ce ne vuoi parlare?
Come dicevo prima, lego molto la musica alle immagini. Vedo i colori della musica e sento i quadri che suonano. Non riesco a concepirle separate. Vivo la musica con tutti e cinque i sensi. Ci entro dentro fino alle viscere.

Il serpente cambia pelle. Si rinnova pur restando sempre lui. Metafora di te, della tua musica o della tua poliedrica attività artistica?
Metafora di tutto. Alla fine io sono la mia musica e sono tutto quello che faccio. Mi piace cambiare pelle. È come vivere tante vite differenti.

E se questo disco fosse un musical?
In effetti. Non ci avevo pensato, ma potrebbe essere un musical noir. D’altronde, l’essenza del disco è molto teatrale.

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