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Recensione: The Telescopes – Splashdown – The Complete Creation Recordings 1990-1992 (2015)


Salvati da Alan McGee dal naufragio della What Goes On, i Telescopes approdano sulle coste della Creation nei primi mesi del 1990. Alan McGee li accoglie dopo averli visti dal vivo a Birmingham e aver dovuto, così vuole la leggenda, lasciare il locale a causa del volume assordante della band. Il boss della Creation si fa carico di versare le sterline necessarie per “liberare” le canzoni già pronte dai diritti che le vincolano alla vecchia etichetta e pubblica ad aprile il Precious Little E.P. guidato dalla tempesta elettrica del pezzo omonimo e seguito da tre narcotiche ballate che suonano un po’ come se ci si fosse addormentati con la smerigliatrice accesa.

Le tre tracce che danno il titolo ai tre E.P. immediatamente successivi spostano però il tiro, su pressione dell’etichetta, più sul ritmo che sul timbro cercando in qualche modo un compromesso tra lo stile del gruppo e le nuove fusioni con la club culture inaugurate con successo dai Primal Scream con Loaded. La musica della band viene “elaborata” secondo concetti nuovi e dinamizzata come gocce omeopatiche, producendo quella sorta di guitar pop stroboscopico che viene esibito sulla lunghissima Celestial, su Flying o su High on Fire, le ultime due delle quali verranno poi ripescate per assemblare fra mille difficoltà e poca voglia, il secondo album cui la band non vuole neppure dare un titolo “taggandolo” con quello che venti anni dopo sarebbe diventato uno dei simboli più sfruttati di una tastiera per pc.

Ma allora, l’hashtag era semplicemente un modo per indicare un numero indefinito. Indefinito proprio come il puzzle sonoro messo su per un disco fondamentalmente noioso e in cui il fischio del feedback di Taste si è completamente spento in un guitar pop fatto di arpeggi oppiacei, batteria spazzolata e qualche sparuto e malinconico accento di pianoforte. Più piano che forte, a voler fare i pignoli. La band ha insomma perso la fisionomia ben definita degli esordi, sbandando fino a toccare abissi di esotismo banghra (come nelle bonus accluse a questa raccolta che documenta tutto il “rito sacrificale” del periodo Creation e che soffocano tra sitar e tablas il tepore valvolare dei Telescopes devastatori e devastanti dei primi dischi) che non convincono nessuno. Men che meno loro, che abbandoneranno l’osservatorio stellare per un decennio buono. Tornando solo quando nessuno si ricorderà più le loro facce. (Franco Dimauro)


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