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Recensione: Cesare Basile – U Fujutu su nesci chi fa? (2017)

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I miei nonni, forse buona parte dei vostri, non si sono mai mossi dalla loro terra. La loro infinita saggezza era una saggezza verticale. Tramandata da padre in figlio, da nonno a nipote. Aggrovigliata a secoli di tradizioni, superstizioni, credenze, leggende e fede. Lunghe file di personaggi, storie, ricordi ed eventi mitologici che stavano impilate l’una sull’altra, come i muri a secco che stanno a margine delle nostre mulattiere e tengono a bada la forza straripante dell’acqua.

In quelle storie popolate da gente di paese in cui sparute presenze di comparse non indigene venivano indicate con l’anonimo appellativo di forestiero sembrava distillarsi però una sapienza universale. Dal loro piccolo paese, adagiato come un arazzo sulle gobbe della Sicilia orientale, i miei nonni raccontavano il mondo intero. E non solo quello. Perché spesso si occupavano pure dell’altro, che i defunti di quei tempi non erano mai veramente defunti. Erano soltanto diventati invisibili. E dispettosi assai.

Cesare Basile, che pure a differenza dei miei avi un po’ Fogg lo è stato, sembra col passare degli anni essersi sempre più avvicinato a questa arcaica tradizione orale che pur nutrendosi di un orizzonte socialmente e geograficamente evirato ha in sé un’esemplare saggezza dal respiro universale.

Il suo nuovo disco è sintomatico di questa sua lenta ma progressiva trasformazione, creando un cortocircuito geopolitico tra i vari percorsi tracciati da Alan Lomax il secolo scorso e finendo per dimostrare come lo spirito blues dei primi canti americani sia poco dissimile dagli spiritelli irriverenti venerati come i “patruna ro luocu” della nostra tradizione esoterica-popolare. E che il canto che ne viene sia se non sovrapponibile, senz’altro accostabile.

U fujutu su nesci chi fa? disegna cerchi di atavico mistero in un campo che invece di essere seminato a grano, è stato invaso dalla zizzania. Sono canti circolari, riportati ai concetti primordiali di trascendenza armonica che sarebbero stati rasi al suolo dalle formule genetiche (strofa/ritornello/strofa) della musica da imbonimento sviluppatasi a valle delle esperienze popolari cui questo lavoro si riannoda. Primitiva nello spirito e nella congettura (ma quanta infinita grazia e cura c’è dentro una cosa come Fimmina Trista?) la musica di Basile si ‘ntrizza come una plica polonica alle radici nodose della nostra anima. Come una magarìa. Come una iattura. O come un incantesimo. (Franco Dimauro)

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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 21 Gennaio 2017

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