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Recensione: Francess – A bit of Italiano (2017)

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Quello di Francess è sinceramente un ascolto culturale di straordinario interesse sotto tantissimi punti di vista. La giovane cantante italo-americana ha raccolto 8 grandi classici della canzone italiana e li ha cantati e tradotti in inglese dandone anche nuovi arrangiamenti. Una nona traccia mostra l’inedito di suo pugno. Mi trovo perciò di fronte a un “lounge” (passatemi il termine) elettronico di arrangiamenti a cavallo tra il bisogno di soddisfare un popolo colto dal palato fine e dalla necessità di accontentare l’ascolto medio di tutti: il risultato è un disco per niente scontato e assai elegante, che non si svende ma che non resta nell’olimpo dei colti. Credo sia davvero difficile spiegarvi l’effetto che restituisce il minestrone di tutti questi ingredienti. Ci proverò con tutte le mie forze.

Sarà l’abitudine a conoscerle come sappiamo, queste canzoni, o forse è la meraviglia di non averle mai sentite così stravolte che in definitiva per quanto ci provino, Francess e i suoi, tutti i brani restituiscano sempre quel sapore di magia immortale che avevano dai primi loro istanti di vita. Per quanto Vacanze Romane dei Matia Bazar per esempio si svolga su basi elettroniche che quasi riconducono ad uno scenario urban metropolitano, robotico in alcuni tratti e per quanto la lingua inglese pronunci parole che non riconosco pur disegnando la famosa melodia del brano, tutto torna magicamente ad essere quello che è sempre stato. Spingete play su Attenti al lupo di Dalla: una trama di chitarra “acustica” in slap ci introduce in qualcosa che poi si arricchisce di un drumming riverberato con dei reverse che mi rispediscono dritto sulle coste di Miami.

Sembra impossibile ma tutto torna esattamente a essere (non somigliare, ma ad essere) proprio la stessa Attenti al lupo di Lucio Dalla. Insomma amici pare proprio che gli arrangiamenti spariscano e tutto suoni come sempre: è meraviglioso e incredibile tutto questo. E potrei dirlo per ognuno di questi omaggi. Sarà dunque l’ennesima prova del nove di come una canzone immortale è bella sempre, qualunque sia la forma e l’arrangiamento che ne dai. E come preannunciavo tra Il cielo in una stanza (se levassimo la voce avremmo uno scenario post atomico alla Brian Eno) e Quello che le donne non dicono (forse uno dei momenti più aderenti alla realtà), siede leggero e divertente Good Fella, il brano inedito dove ahimè Francess fa sfoggio di qualcosa che troppo somiglia e troppo richiama alla mente.

Di certo non è “That’s amore” ma che differenza c’è alla fine dei conti? Sicuramente tanta, per fare i pignoli e i saccenti. Però questo bellissimo gioco tra inglese e italiano diciamo che non è per niente nuovo e probabilmente, avendolo già preannunciato in vari altri momenti del disco tornando a cantare alcuni incisi proprio in italiano, direi che è stata la soluzione inedita più ovvia e scontata che poteva esserci. Questo forse è l’unico neo che mi viene da sottolineare. Per il resto penso che ascolterò questo disco e la bellissima voce di Francess per molto molto ancora. (Alessandro Riva)

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