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Arto Lindsay – Salt (2004)


Nuovo album da solista per Arto Lindsay[1], intellettuale del rock cresciuto fra New York e Bahia, assertore del tropicalismo capace di unire il fascino della musica brasiliana con l’irrequietezza urbana del sound americano.

Sempre in bilico tra attualità e tradizione, l’ex Lounge Lizards rappresenta l’archetipo del musicista contemporaneo, poliedrico e dalle visioni globali, brillante e temerario, abile nel saper coniugare – fin dai tempi dei DNA – suoni e culture diverse.

A rafforzare questa sua immagine di musicista sperimentatore sopraggiunge questo interessante disco, prodotto dall’etichetta di Ani DiFranco, carico di sonorità latinoamericane ma anche di fulgide melodie dagli slanci electro.

Ecco, quindi, che alle sensuali e delicate armonie tropical/jazz di Habite Em Mim e Kamo (Dark Stripe) si contrappongono gli esotismi sperimentali di Twins, le progressioni sambadeliche di Jardim Di Alma e le concezioni “avanguardistiche” di Make That Sound che avrebbe molto da insegnare ai Blur di Think Thank. Proseguono sulla stessa strada, tra innovazione e costume, De Lama Lamina e la stessa title track.

Insomma, variopinto e allo stesso tempo nostalgico, Salt non lascia alcun dubbio sul talento di Arto Lindsay, tropicalista convinto che rende omaggio ai riti pagani del carnevale attraverso dieci canzoni, popolari e disturbate, cantate sia in portoghese che in lingua anglosassone. Un miscuglio di elettronica e ritmi brasiliani che riaccendono lo spirito e la voglia d’estate. (Luca D’Ambrosio)

[1]Recensione pubblicata su ML – n. 37 del 4 ottobre 2006