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Intervista a Giulio Casale

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Dalla parte di Giulio Casale (intervista di Luca D’Ambrosio)
Dalla musica al teatro passando per la letteratura, Giulio Casale di strada sicuramente ne ha fatta. Una strada lunga e tortuosa che ha saputo percorrere con sacrificio, curiosità e onestà intellettuale dimostrando di possedere un talento artistico fuori dal comune. Ed è per questo che, in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro discografico, “Dalla Parte del Torto”, abbiamo cercato di parlare con lui, sia pur velocemente, di questi 20 anni e più di vita creativa e di palcoscenici.
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Dagli Estra al Giulio Casale scrittore e attore oltre che cantante e musicista. Ci racconti il percorso di questa evoluzione?
Credo nella costante metamorfosi delle cose e di ognuno di noi. Si tratta forse di ascoltarsi molto (e di ascoltare l’altro anche, ciò che ti circonda), mettersi in risonanza con entrambi i lati del tuo sentire, agire di conseguenza. Ogni forma d’arte è innanzitutto artigianato, mani che si fanno via via più esperte, più consce dei propri gesti e degli strumenti che hanno a disposizione. Cerco di dare il massimo di rigore (e di lievità, per carità) a ogni forma espressiva: scrivere una poesia o un racconto ha per esempio pochissimi punti di contatto con il mestiere del paroliere di canzoni, e non parliamo poi della drammaturgia… Se dovessi riassumermi, un po’ violentandomi, direi che sono sempre stato un “uomo di parole” (e le parole se le ascolti bene suonano, sono già melodie potenziali) che però non può fare a meno della propria voce e del proprio corpo per esprimere appieno il senso della sua scrittura. Aggiungo: senza prendersi mai del tutto per “Qualcuno”. I’m not a VIP, che si fottano quelli…

A quale di questi ruoli ti senti più vicino?
Ho già detto tante volte che nello spettacolo teatral-musicale c’è, anche solo come residuo, un po’ tutto ciò che mi compone: scrittura pura, scrittura delle canzoni (parole e musica! Il Suono!), recitazione, messa in scena (l’aspetto più delicato, decisivo, visuale: cosa vedranno di me in prima battuta?) e poi canto, tanto canto, tutte le sere, ogni santa sera in un santo teatro diverso, e non poter sbagliare mai e sempre con l’imprevedibile variabile di un pubblico sempre nuovo e mai del tutto preparato a ciò che ho messo insieme di volta in volta. Detto questo – ho di nuovo dopo alcuni anni una disperata esigenza di palchi rock, di club e di birra cattiva, di festival estivi a tutto volume. Come vedi nessuna coerenza, sempre dalla parte sbagliata, anche rispetto a me stesso… Solo istinto insomma, o nuove/antiche necessità.

Qual era il sogno, o l’incubo, ricorrente di Giulio Casale da ragazzo?
Incubi, abbandoni, lutti, senso d’isolamento, tutto insieme, ogni notte. Poi a un certo punto l’insonnia, che ha i suoi bei vantaggi… (ride, Ndr)

Oggi, invece?
Dormo tuttora poco (ride di nuovo, Ndr) ma quando ci riesco e sogno vado in Psichedelia pura, colori sgargianti e sempre cangianti, prismatici. Credo che la mia coscienza stia esplorando il cosmo, da un po’ di tempo in qua, ma non mi sa dare molte informazioni utili al riguardo. Va bene così del resto, so confidare nel mistero.

C’è un episodio saliente della tua vita artistica che ha condizionato il tuo modo di essere?
Sono troppi e ho molta memoria (sono autistico). Diciamo, a titolo d’esempio, che mi dà sempre uguale fastidio la esibita “cialtroneria” di parte del mondo della musica indipendente la quale, però, non è nemmeno lontanamente comparabile alla squallida e cinica professionalità, mercificante e mercatistica, dei direttori delle grandi case discografiche e dei loro collegati (sono colleghi, in effetti) network commerciali italiani (quasi nessuno di lor signori dimostra tra l’altro di sapere più cosa sia la musica, la forma-canzone, etc). Ma ho conosciuto un poco anche l’editoria e i teatri parassitanti il ministero della cultura, e i grandi quotidiani (i loro editori, mio dio), ho messo il naso in tv, sono stato chiamato a provini per il cinema e le fiction tv (Dio ce ne liberi!) e le ho rifiutate. Ecco: dopo 20 anni di palcoscenico, nel mio piccolo – perché sono niente, cioè sono solo una persona – comincio ad avere un buon quadro d’insieme del “problema Italia”. Bisogna oggi più che mai saper dire di no a tutto questo, e non è facile come sembra. Il rischio di essere fatti fuori dal sistema è evidente, e non esagero affatto, sono prudente, credimi. Prudente è l’opposto di arrendevole per me, o peggio di compromesso.

Da cosa nasce “Dalla parte del torto”? Ci racconti qualcosa a tal proposito?
Dal disastro, dal grado zero dell’individuo in carriera (e beato chi ce l’ha un lavoro), da questo vuoto ideale, dalla cattiveria montante in ognuno. Tutto ciò è duro, e nuovo se si considera lo sprofondo a cui siamo, da tutto sommato poco tempo, giunti. Per restituire tutto questo (e la necessità di un suo superamento) serviva un disco così: eccesivo, ambizioso per densità, umile fino alla nudità di “Apritemi”, concettuale e narrativo insieme. Un disco impossibile, anche a livello di produzione, di arrangiamenti: solo il talento e l’esperienza di Giovanni Ferrario poteva ardire a tanto. E Non l’avevo mai fatto un disco così, ma è vero anche che non dico altro da vent’anni a questa parte. Non pretendo certo di avere ragione (sempre torto ho avuto, sin qui), né di farmi ascoltare. Ho solo bisogno di tirarmi fuori il cuore oggi, gettarlo al vento, cantare. Cantare è una buona medicina tra l’altro, ed è pure gratis.

“Sullo zero”, “In fondo al blu”, “La canzone di Nanda” e adesso “Dalla parte del torto”, cosa rappresentano e cosa significano ciascuno di questi dischi per Giulio Casale e a quale ti senti più legato?
Tolta “Nanda” che è la registrazione integrale dal vivo di quel mio spettacolo, gli altri tre titoli dicono molto della mia vita: nato col terrore del nulla a un certo punto mi sono immerso e perso negli abissi, nel buio e nel silenzio (che è già puro teatro). Una volta riemerso mi sono reso conto che la riva buona era quella opposta alla mia. Ne prendo atto: non è mica un dramma, soltanto vita vissuta, e cantata. Fernanda Pivano, però, mi ha lasciato germi attivi e fecondi tuttora in circolazione, dentro.

Sarai in tournée?
Sì, quanto potrò. Spero persino doppia tournèe, teatri e concerti rock, con tutte le difficoltà del caso. O meglio- dei due casi, molto diversi tra loro.

Vista la tua fertilità creativa, c’è qualcos’altro che bolle in pentola?
Sì, uno spettacolo per l’appunto, ma tratto sempre da questo nuovo disco: da Nina, ad esempio, che fugge da un padre violento (il pezzo è “Senza direzione”) o da una canzone come “La febbre” che ha già un recitativo al suo interno, come del resto “Virus A”: emarginazione, intolleranze, xenofobia. I temi oggigiorno non ci mancano, purtroppo.

Qualche disco, qualche film e qualche libro che ti va di consigliare ai nostri lettori.
Un disco: La Carne, dei Valentina Dorme. Un Film: Il Castello Errante di Howl, di Miyazaki. Tre libri: Domani nella battaglia pensa a me, di Javier Marìas, Le Particelle elementari di Michel Houellebecq e L’ubicazione del bene di Giorgio Falco. Marco Lodoli resta però uno scrittore grandissimo per me (quasi incompreso, nell’essenza) e Milo De Angelis è il miglior poeta italiano vivente, a mio parere. Nel senso che gli altri paiono più morenti in effetti (ride, Ndr), ma io sbaglio sempre …

Cosa stai ascoltando ultimamente?
Tutto. Sono curioso come non mai. E compro ancora dischi. (Sorride e saluta gentilmente, Ndr)



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