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The Housemartins – The People Who Grinned Themselves To Death (1987)

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Non saprei dirvi fino a che punto “La Gente Che Sogghignava Fino a Morire” possa essere considerato “un disco per l’estate[1] ma questo secondo e ultimo lavoro in studio degli Housermartins, che segue il ben più noto e seminale London 0 Hull 4 del 1986, è quanto di più leggero e allo stesso tempo vibrante abbia potuto ascoltare sul finire degli anni ottanta e che, a distanza di 24 anni, torna ad accompagnarmi in questo nuovo solstizio d’estate. Anche se meno cristalline e sorprendenti delle tracce contenute nell’album d’esordio (si pensi, per esempio, ai singoli Flag Day, Happy Hour e Sheep che, in qualche modo, riuscirono a scombinare le classifiche inglesi di quegli anni), quelle messe in scena da P. d. Heaton (voce), Stan Cullimore (chitarra), Norman Cook (basso) e Dave Hemigway (batteria) con questo The People Who Grinned Themselves To Death sono brani che, nonostante una formula più “ragionata”, riescono ugualmente a trastullare lo spirito senza mai allontanarsi dalle corde del cuore. Un mix ben equilibrato di inebrianti motivi sixties e testi di denuncia sociale capaci di essere tanto ironici quanto toccanti a partire dall’iniziale title track, che pigia subito sull’acceleratore assieme alle spumeggianti The world’s on fire, Me and farmer, Five get over excited, passando attraverso le cedevolezze pop e acustiche di The light is always green e Johannesburg, fino a immergersi nella meravigliosa ballata conclusiva di Build che, come ogni estate che si rispetti, riesce ancora oggi a trasmettermi quel pizzico di amorevole nostalgia. (Luca D’Ambrosio)

[1] Recensione pubblicata su ML – n. 56 del 28 luglio 2008



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Intervista su Qui Magazine (2009)

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QUI MAGAZINE Frosinone | Maggio 2009

Musicletter, la musica è in linea di Ilaria Ferri

ALLA FANZINE NATA NEL 2005 PER INIZIATIVA DI LUCA D’AMBROSIO COLLABORANO TANTI APPASSIONATI

L’amore per la musica, la voglia di diffondere una cultura alternativa, il piacere di scrivere, di curiosare e portare alla luce le gemme spesso nascoste del panorama nazionale e internazionale: sono questi gli elementi che hanno portato alla nascita di Musicletter, fanzine creata da Luca D’Ambrosio, oggi una delle riviste on line più consultate e autorevoli, grazie all’apporto di collaboratori appassionati, provenienti anche dal mondo del giornalismo musicale “tradizionale”. Di questa bella realtà abbiamo parlato con Luca (ideatore anche del festival sorano “Riverland”).

Luca, come nasce l’avventura di Musicletter?

Nasce dalla mia passione per la musica e dal tentativo di voler condividere le proprie emozioni cercando di metterle “nero su bianco”. L’avventura è iniziata nel febbraio del 2005 con una semplice newsletter contenente alcune mie recensioni destinata ad appena 300 indirizzi di posta elettronica. All’epoca non avevo alcun collaboratore e il sito ancora non esisteva, anche perché non pensavo minimamente che quell’idea potesse riscontrare così tanto successo. Poi, con il tempo, il numero dei destinatari è andato ad aumentare così come quello dei collaboratori. Il nostro scopo è di fare da filtro alla gran quantità di dischi che oggigiorno si producono e ci vengono propinati dalla rete, dalle radio e dalle stesse riviste specializzate. In un certo senso ci stiamo riuscendo, almeno nel principio generale che è, appunto, quello di scegliere la “buona musica”.

Musicletter è anche cartacea o ha solo un’edizione on line?

ML è scaricabile gratuitamente in formato pdf sul sito www.musicletter.it. Ognuno può farne ciò che vuole: leggerla on-line o stamparne una o più copie per sé o per gli amici. Noi, per esempio, ne facciamo giusto un paio di copie cartacee, anche perché bisogna salvaguardare l’ambiente. Altrimenti tutta questa tecnologia a disposizione a cosa serve?

Quanti contatti al mese avete?

Abbiamo una mailing list di oltre 9.000 indirizzi di posta elettronica a cui spediamo sistematicamente i nostri aggiornamenti. Posso dirti che nell’ultimo mese abbiamo avuto circa 1.300 visite. Il contavisite del sito in questo preciso istante segna 41.358.

Tra i collaboratori ci sono anche nomi noti del giornalismo “tradizionale” nazionale.

Sì, ci sono “semplici” appassionati di musica e critici che collaborano con altre riviste nazionali: tra questi ci sono anche dei giornalisti iscritti all’albo e persino un ex conduttore di Rai Stereonotte. La cosa più importante è che si tratta di gente davvero esperta e in gamba: dal nord al sud dell’Italia. Senza di loro Ml non sarebbe quello che è.

Il Riverland festival ha siglato l’anno scorso la seconda “puntata”.

Dopo tanti anni di “buio culturale” ho tentato di portare una ventata d’aria nuova nella mia città, Sora, realizzando un festival di “musica alternativa” che, nell’ultima edizione del 2008, ha visto esibirsi gruppi come The Niro e Gentlemen’s Agreement. Che atmosfera si è respirata? Semplicemente emozionante e con un pubblico numeroso che è accorso specialmente da fuori.

La prima, nel 2007, invece come è andata?

Molto bene anche se la tensione era davvero altissima. Un’agitazione che è stata sciolta dai Desert Motel capaci di regalarci una serata indimenticabile.

L’edizione numero 3 invece è in forse. Ci puoi spiegare perché?

È una tristezza, ma sono stanco di chiedere l’elemosina per organizzare certi eventi culturali che, oltretutto, vengono snobbati dalla popolazione autoctona e dalle istituzioni locali. Nonostante la buona volontà di alcuni amici e di qualche amministratore, siamo ancora legati a un concetto “tradizionale” e “classico” di cultura. Un esempio? Con tutto il rispetto per i grandi della musica rock, che tra l’altro adoro, conosco gente che ascolta ancora solo ed esclusivamente i soliti nomi come Bruce Springsteen, Bob Dylan, Ry Cooder, i Doors, i Pink Floyd credendo che di musica buona non se ne faccia più. Una sciocca affermazione. La musica buona c’è ancora, basta non smettere di cercarla ma soprattutto di ascoltarla. La vecchiaia spesso fa brutti scherzi. Tornando al festival, posso dirti che, nonostante il successo delle due precedenti edizioni, allo stato attuale ho deciso di mettere tre puntini sospensivi. Il mio auspicio, ovviamente, è quello di trovare un buon samaritano (pubblico o privato) che con un migliaio di euro voglia sostenere questa terza edizione di Riverland. Al momento non vedo vie d’uscita.

Esiste un autore o una band italiana secondo te sottovalutati?

Ti faccio qualche nome che in questo momento mi ronza nella mente: i Flor De Mal (poi Flor), Amerigo Verardi e Moltheni.

Conosci bene la scena musicale provinciale? Che ne pensi?

In linea generale posso dirti che, rispetto al passato, c’è stato un netto miglioramento specialmente nell’area di Frosinone. Qui a Sora, invece, da qualche anno qualcosa si sta muovendo ma siamo ancora lontani anni luce. Il problema è sempre lo stesso: mancanza di cultura “alternativa”. Nonostante i buoni propositi, il substrato culturale è ancora arido.

Perché, secondo te, nonostante tutti gli sforzi e alcuni nomi validi, questa scena non ha mai veramente “sfondato” a livello nazionale?

È il solito mistero italiano. A dire il vero però c’è un personaggio “indie” che conosco e che ha sfondato, si chiama Silvio ma fa un genere troppo “fake” per piacermi (sorride, ndr).

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