Una presunta citazione di Winston Churchill, “Rum, sodomy and the lash“, e l’immagine di una zattera malridotta carica di sventurati in costume adamitico (goliardica e personale rivisitazione della “Zattera della Medusa” di Gericault) per il capolavoro folk rock della ciurma più chiassosa e commovente degli anni ’80: i Pogues. Una galleria d’immagini per dar voce ai poveri e agli oppressi: dai disoccupati ai pescatori di balene, dai vagabondi ai carcerati; un album che giunge dopo appena un anno dall’esordio, Red Roses For Me del 1984, ma che sa scavare nell’intimo, consacrando il genio narrativo di Shane MacGowan, poeta del whiskey e cantore delle verdi colline. Fiero e impavido come un “qualsiasi” Joe Strummer e con una voce sgraziata e fuori dalle righe, Shane palesa lo spirito del condottiero senza spada, intrepido e allegro sognatore che celebra meraviglie senza tempo (The old main drag) e fugaci utopie (And the band played waltzing Matilda) tra cori, flauti, violini e debordanti fisarmoniche. Strepitoso e toccante come una sbornia tra vecchi amici. (Luca D’Ambrosio)