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Wall of Voodoo – Dark Continent (1981)

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Cosa separa il paradiso dall’inferno? Un deserto di sabbia e di pietra infuocata. Una distesa di polvere rossa. Un Continente Buio dove tutti sono eroi. Dove ogni campana suona per te. Dove ogni luce rossa lampeggia per te. Dove ogni sirena fende il buio della notte solo per te. È questo, oltre alla sua innovativa e peculiare fusione di elementi new wave, elettronici e vagamente morriconiani, il punto di forza della musica dei primi Wall of Voodoo. Quello che li rende unici ed irripetibili, che li distingue concettualmente da altri eroi del synth-pop (i Devo, i Suicide, i Depeche Mode, i Kraftwerk): questa totale identificazione tra i protagonisti delle storie surreali di Ridgway e noi ascoltatori che è facilmente assimilabile, complice la struttura vagamente western delle canzoni, a quella cinematografica dei film di Sergio Leone e alla sua epopea del vecchio west e la voce atonale, vulnerabile di Ridgway. Dark Continent è uno dei debutti più importanti di tutta la new wave americana. Un disco dove l’elettronica è sempre incalzante ma non è mai protagonista assoluta ed è costretta a venire a patti con la tradizione a stelle e strisce dell’armonica a bocca o della chitarra twangy. Un disco dal taglio epico e decadente, con i beat della drum machine che picchiano come zoccoli di un cavallo al galoppo, le chitarre che svisano in polverosi richiami al Morricone degli spaghetti-western, le tastiere che tracciano ipnotiche linee da film di spionaggio, la batteria di Joe Nanini che sbuffa come una locomotiva e l’ armonica mariachi di Stan che geme come il fischio del vento tra le ossa del deserto. Un rodeo meccanico di bit pulsanti e di riff sghembi che si muove con disinvoltura dal drammatico (Red Light, Crack the bell, Back in Flesh) al buffo (Animal Day, Full of tension, Call Box) e che rappresenta l’ esatta deriva sintetica del mondo grottesco e paradossale dei Cramps (quando vola la TseTse Fly come non andare con la mente alla loro Human Fly? E quando passano i vagoni di Two minutes till lunch con la sua chitarra riverberata come non pensare al tremolo di Poison Ivy?). Disse bene Joe Berardi: voi non state costruendo un muro del suono. Ma un Muro Voodoo. (Franco Dimauro)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 21 Maggio 2013

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