Intervista ai Maverick Persona, lo straordinario progetto di Amerigo Verardi e Matteo D’Astore

L'8 marzo 2024 uscirà per Nos Records «What Tommorrow?», l'album di debutto dei Maverick Persona, straordinario progetto dal sound internazionale di Amerigo Verardi e Matteo D'Astore (aka Deje). Leggi l'intervista.

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L’8 marzo 2024 uscirà per Nos Records il primo album dei Maverick Persona, straordinario progetto dal sound internazionale messo insieme da Amerigo Verardi, una delle menti più brillanti, feconde e imprevedibili della scena musicale italiana, con il fondamentale contributo del giovane musicista e compositore Matteo D’Astore (in arte Deje).

L’album di debutto si intitola What Tommorrow? ed è un lavoro cantato in inglese che unisce diverse estetiche e linguaggi musicali contemporanei. Un disco che spazia dalla nuova scena jazz londinese alla psichedelia, dal pop al rock, dall’hip-hop all’ambient, senza tuttavia trascurare i testi, molto spesso critici e taglienti verso la società ma al contempo romanticamente visionari.

In occasione dell’imminente pubblicazione, abbiamo fatto due chiacchiere con Amerigo e Matteo, i due protagonisti del singolare e bellissimo progetto di musica contemporanea. Buona lettura. (La redazione)

Maverick Persona – Intervista di L.D. – 2024©

What Tomorrow? (2024)

Maverick Persona è un progetto dal sound internazionale che unisce diverse estetiche e linguaggi musicali contemporanei. Ci raccontate com’è venuto fuori?

MatteoMaverick Persona nasce principalmente da una forte amicizia e dal comune amore infinito per la musica. È stato tutto molto spontaneo: durante una cena decidemmo che avremmo cominciato a vederci dal giorno dopo per suonare, e così è stato; come strumentazione io ho il minimo indispensabile nella mia stanza che è diventata ormai il nostro quartier generale.

AmerigoSì, è andata esattamente così. Al di là di un rapporto di amicizia davvero speciale, mi ha sempre affascinato l’attitudine di Matteo alla produzione di suoni elettronici in un contesto di sperimentazione ragionata. Il suo progetto ultramoderno a nome Deje è da tempo per me fonte di curiosità e attrazione. In realtà ci legano diversi interessi: il jazz e il rock anni ‘60-’70, l’elettronica, l’hip-hop, la sperimentazione, la poesia beat, l’esoterismo, le filosofie orientali… Il divario anagrafico che ci separa è notevole, io ho 58 anni e Matteo praticamente la metà, e questo avrebbe potuto uccidere qualsiasi velleità di collaborazione, ma in realtà ha poi funzionato esattamente al contrario: le nostre caratteristiche personali e generazionali, con pregi e limiti, si sono miscelate e compensate in modo totalmente armonico, come anche ci è accaduto nella vita, praticamente fin dal primo istante.

Sono tanti i riferimenti dentro questo vostro album d’esordio: dalla nuova scena jazz londinese alla psichedelia, dal pop al rock, dall’hip-hop all’ambient. Insomma: cosa rappresenta per voi “What Tomorrow?

MatteoPer me è stata un’occasione di crescita artistica e umana, perché lavorare con Amerigo ha mutato il mio modo di vedere e di creare musica. L’incontro di due background così differenti ha sicuramente aiutato a creare un melting pot di combinazioni veramente interessanti.

Amerigo“What Tomorrow?”, ma in generale il progetto Maverick Persona, per me finora ha rappresentato un fantastico e inaspettato viaggio pieno di libertà espressiva, esperimenti, nuove conoscenze umane e sonore, mistero, divertimento. Insomma, non è certamente solo musica, per me. E l’unica etichetta che mi sentirei di appiccicare all’album è quella di “musica contemporanea”.

L’idea di cantare in inglese vi ha dato maggiore libertà creativa?

MatteoAmo particolarmente l’inglese, la ritengo una lingua molto musicale. Mi sono trovato subito d’accordo con Amerigo, quando mi ha proposto la possibilità di non cantare in italiano.

AmerigoÈ un terreno di gioco differente. Da una parte c’è stata fin dall’inizio l’idea di proporsi come un progetto internazionale, senza confini; dall’altra, abbiamo fatto una scelta in favore dell’immediatezza, perché personalmente l’inglese mi vincola meno alla parola e più all’intenzione, all’istinto. In sei mesi, lavorando si e no cinque ore alla settimana, abbiamo realizzato “What Tomorrow?”, e ora abbiamo quasi già terminato di registrare il secondo album. Abbiamo sviluppato una velocità di azione notevole, devo dire. È una cosa per me davvero entusiasmante. Scrivere i testi in inglese ha aiutato questo processo, semplicemente evitando una tendenza ad avere continui ripensamenti sulla parte testuale, come spesso mi capita scrivendo in italiano.

I testi sono taglienti e critici verso la società ma anche poetici e visionari. A tratti rivelano perfino tutto l’amore per il Pianeta e per le piccole cose. C’è ancora speranza per un domani?

Amerigo Grazie per questa attenzione ai testi, è una cosa che ci fa piacere. Ne hai colto senz’altro gli aspetti essenziali, e poco resta da aggiungere. Ma cerco di rispondere anche alla tua domanda. Personalmente non coltivo speranze che, per dirla alla Kerouac, sono solo buone a “gettare un’ombra lunga nella livida luce della strada”. Piuttosto credo ancora nella lotta. Una lotta che utilizzi ogni mezzo necessario, arte compresa, per non soccombere al progressivo degrado umano, spirituale, culturale e civile. Bisognerebbe essere sempre disponibili a difendere dei diritti fondamentali. Certo, lo sappiamo tutti: in questo momento storico, reso ancora più oscuro da inquietanti criminali di guerra, destre nazionaliste e rigurgiti nazifascisti, portare anche un piccolo segnale di luce non solo non è cosa semplice ma talvolta può sembrarci anche del tutto inutile. Penso però che sia doveroso continuare a provarci, senza abbandonarci a una sterile “speranza”. È di questi giorni la grande risposta della cittadinanza di Pisa alla vigliaccheria di certi poliziotti che hanno selvaggiamente picchiato degli studenti minorenni. Penso sia solo un inizio, la continua somministrazione di paura e di violenza da parte del potere, non può lasciarci ormai indifferenti. È tempo per forti segnali di vitalità e resistenza attiva. È tempo di cominciare a chiamare le cose con il loro nome.

Come ci si sente nell’aver fatto un album straordinariamente bello e contemporaneo pur sapendo che il mercato musicale di massa è orientato verso altri orizzonti?

MatteoPosso definirmi un vero maverick, soprattutto nella musica, ovvero qualcuno che non corrisponde né ubbidisce a canoni imposti dall’esterno. Quindi l’unica prerogativa che abbiamo è quella di divertirci, sperimentare insieme e fare musica che rimanga nell’immaginario delle persone. Dopo ogni sessione e dopo ogni pezzo, ne siamo sempre usciti con il cuore pieno; questo, per noi, è cibo per lo spirito.

AmerigoRiuscire a realizzare qualcosa che per te è importante, che in qualche modo ti rappresenta e che è pura gioia di vivere, è una sensazione impagabile. Lo è ancor di più se anche per altre persone la tua energia creativa può risultare attraente o perfino stimolante e d’ispirazione, in qualunque senso. Sì, è vero, a me l’album sembra bellissimo e anche molto attuale, ed evidentemente io e Matteo non siamo gli unici a pensarlo. Ma essendoci definiti maverick persona, è chiaro che abbiamo una certa consapevolezza di dove ci collochiamo nel mondo… Alla fine direi che da questo punto di vista è un progetto ben amalgamato alla storia della mia personale vita artistica. Credo che questo stare un po’ defilati, pur avendomi procurato diverse difficoltà, alla fine giovi sia alla salute mentale che all’ispirazione. E sono anche certo che mi abbia aiutato nel tempo a cercare e offrire il meglio di me stesso, oltre che ad incontrare meravigliose persone e musicisti con cui condividere affinità e sogni. Che poi, insieme al godermi l’incredibile giostra della vita, è l’unico obbiettivo che cerco di perseguire più o meno con continuità. Momento per momento. Suono per suono. “Cazzo mene” (cit.) degli orizzonti del “mercato musicale di massa!”.

Quale sarà il prossimo passo dei Maverick Persona?

AmerigoDirei quello di migliorarci ancora e realizzare qualcosa che rispecchi la nostra visione, in controtendenza rispetto ad un meccanismo sociale che tende evidentemente ad isolarti, comprimerti, omologarti. In realtà il prossimo passo lo abbiamo già fatto, vogliamo uscire con il secondo album entro quest’anno, lo abbiamo quasi terminato. Non abbiamo la possibilità di investire migliaia di euro in promozione, foto o videoclip; tanto meno siamo in grado di comprare i passaggi nelle radio o in tv, né ci interessa acquistare pacchetti di ascolti virtuali in playlist del cazzo. Adottiamo invece una forma promozionale tutta nostra che si misura in energia piuttosto che in economia: provare a liberare un flusso creativo tale da permetterci di registrare anche due album in un anno, possibilmente uno migliore dell’altro. Non so per quanto tempo riusciremo a tenere il ritmo, ma certamente ci proveremo. È la nostra attitudine, e che viene peraltro condivisa ed incoraggiata dalla NOS Records, una delle poche etichette che si possano davvero definire indipendenti. Ed è anche una nostra personale risposta a persone ed entità che cercano di indurre sentimenti diffusi di sterilità e demotivazione. La nostra piccola rivoluzione. Una rivoluzione da mavericks. Spero vogliate condividerla con noi e sostenerla. E a questo proposito, Luca e musicletter.it, vogliamo dirvi sinceramente GRAZIE per il vostro sostegno, per questo prezioso e libero spazio, e per NON averci chiesto quando partirà il tour di concerti per l’album (ndr, sorride).

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