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Moltheni – Intervista (2007)

Moltheni - Intervista (2007)
Dopo due lavori prettamente rock come “Natura In Replay” (1999) e “Fiducia Nel Nulla Migliore” (2001), realizzati per la Cyclope Records del grande Francesco Virlinzi, e una partecipazione al Festival di Sanremo nel 2000 con il brano “Nutriente”, la carriera di Umberto Giardini (alias Moltheni) è segnata improvvisamente dalla scomparsa dell’amico Francesco che decreterà anche la fine dell’etichetta catanese Cyclope Records. Così, dopo un lungo periodo di riflessione durato quattro anni, con in mezzo un album mai pubblicato (”Forma Mentis”), nel 2005 il cantautore, nato a Sant’ Elpidio a Mare, si rimette in gioco con “Splendore Terrore”, un disco indipendente che sancisce la sua maturità artistica attraverso composizioni intense ma allo stesso tempo scheletriche. L’anno successivo è la volta di “Toilette Memoria” (2006) che, invece, lascia trapelare una latente vivacità che nel 2007 si assottiglia notevolmente attraverso le note di “Io Non Sono Come Te”, mini fatica dai toni bucolici che mette in risalto il carattere di un compositore schivo, intimista e decisamente fuori dal coro…

Umberto, te la senti di riassumere in poche righe i momenti più significativi, belli e brutti che siano, della tua evoluzione artistica?
Il momento più bello è stato quando al mio esordio cercai il mio CD nei negozi e di fatto lo vidi… Ero felicissimo. Il momento più brutto invece è stato di sicuro quando è scomparso Francesco Virlinzi. Il vuoto lasciato da Francesco è rimasto incolmabile un po’ per tutti, anche per la discografia italiana in genere.

Quando nel 1991 comprai l’esordio dei Flor De Mal, uscito appunto per la Cyclope Records di Catania, mi resi subito conto che Francesco Virlinzi stavo osando qualcosa in più. Tu che l’hai conosciuto molto bene, cosa ha perso il nostro ambiente musicale con la sua scomparsa?
La realtà musicale italiana ha perso moltissimo con la scomparsa di Francesco Virlinzi, non solo per un discorso diplomatico che lo vedeva comunicare con le Major in maniera umana, riuscendo a farle ragionare, ma anche per quel grande buon gusto che dava la possibilità ai nuovi progetti di esprimersi come volevano, uscire cioè discograficamente solo ed esclusivamente per le proprie qualità.

Credo che non sia stato affatto facile ripartire da zero dopo la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2000, un album (“Fiducia Nel Nulla Migliore”) registrato negli Stati Uniti e prodotto dall’ex produttore dei R.E.M. Jefferson Holte e, soprattutto, dopo la chiusura della Cyclope Records la cui distribuzione era curata dalla Sony BMG…
Sì è stato molto difficile, difficilissimo, ma superato l’ostacolo di liberarmi della BMG è stato tutto molto più semplice.

Successivamente ci fu anche la delusione di un tuo album (“Forma Mentis”) “snobbato”…
Sì, anche se delusione è un termine un po’ esagerato per descrivere il mio stato d’animo di quel periodo. Sapevo che le persone con cui stavo avendo un approccio di lavoro erano inaffidabili, pertanto la delusione è stata molto relativa.

Prima di parlare del tuo ultimo lavoro, “Io Non Sono Come Te”, recensito proprio su queste pagine nel numero precedente, vorrei parlare di “Splendore Terrore”, lavoro del 2005 che ha decretato innanzitutto il sodalizio tra La Tempesta dei Tre Allegri Ragazzi Morti e Moltheni. Come è avvenuto l’incontro con Davide Toffolo & Co. e quali sono state le prime cose che vi siete detti all’inizio della collaborazione?
L’approccio iniziale in realtà è stato con Enrico Molteni, durante un live dei Tortoise a Ferrara. È stato tutto molto genuino; ci siamo parlati e stretti la mano. Fu come una parola d’onore tra due persone serie e decise di lavorare insieme, tutto qua… Poche settimane dopo, si era già a buon punto, fino alla registrazione dell’album qualche mese dopo.

Ho letto da qualche parte che “Splendore Terrore” è stato pensato e realizzato in poco tempo. Sono convinto però che per fare un album così intenso, al di là dell’ispirazione, bisogna avere le idee ben chiare…
Può darsi, io le ho sempre molto chiare le cose in testa che debbo poi realizzare. È anche vero, però, che la grossa ispirazione che avevo in quei giorni ha fatto da buona consigliera, fu registrato tutto in brevissimo tempo.

Con “Splendore Terrore” esce fuori un Moltheni che si muove tranquillamente tra composizioni strumentali e canzoni evocative, piene di pathos e capaci di sintetizzare splendidamente le amarezze della vita…
Non lo so. A me appare tutto molto semplicemente naturale… È Moltheni

Poi “Splendore Terrore” è anche l’album che segna la tua maturità artistica e che toglie ogni dubbio a tutti coloro che ti hanno sempre paragonato a Manuel Agnelli…
Probabile, con “Splendore Terrore” mi sono sentito veramente io. Mi sono guardato allo specchio e mi sono finalmente riconosciuto. Per ciò che riguarda i paragoni, lasciano sempre il tempo che trovano, è anche vero che senza i paragoni molti giornalisti o addetti alla musica sarebbero persi e senza più riferimenti, quindi, tanto vale leggerli e riderci su.

Ascoltando “Toilette Memoria” ho avvertito invece una misurata e latente vivacità sia nelle ritmiche che nei testi. È solo la mia impressione?
No, è di fatto un album più luminoso; è anche vero però che nelle mie composizioni la luce e la giocosità di alcuni episodi, va vista e interpretata in un’ottica diversa rispetto ad album qualsiasi o a progetti pop. È la melanconia l’ingrediente che, in un modo o nell’altro, stende sempre un velo sottilissimo sopra le mie produzioni. È come una ragnatela invisibile che quando ci si avvicina, ci tocca, e qualcosa cambia.

Nell’album c’è anche un brano cantato da Franco Battiato. Come è nata la collaborazione e l’amicizia con l’artista siciliano?
L’amicizia con Franco è nata precedentemente alle registrazioni di “Toilette Memoria”, esisteva già. La collaborazione è nata dall’idea di far cantare il brano a una voce fortemente evocativa. Il brano era perfetto per lui. Franco ha accettato subito. È bastata una telefonata.

Cosa ci puoi raccontare a proposito della tuo ultimo lavoro “Io Non Sono Come Te”? Come è nato il disco, dove è stato registrato?
Non ho nulla da raccontare; sono una manciata di dolci canzoni che rilassano e, come spesso accade, fanno pensare alla vita. È stato registrato da Giacomo Fiorenza a Bologna e due brani da Gigi Galmozzi a Milano, il tutto poi mixato in Svezia da Kalle Gustafsson.

Con questo EP si scorge un Moltheni dai toni decisamente più bucolici. Credi che il prossimo seguirà questa strada oppure è arrivato il momento di tirare fuori dal cassetto “Forma Mentis”, casomai riveduto e corretto?
Che dire, non mi faccio mai molte domande sulla strada da percorrere per il futuro. So di certo che questa è la mia strada e non la lascerò per vendere più dischi o per una visibilità maggiore che snaturi Moltheni. “Forma Mentis” è un album mai pubblicato e tale rimarrà. Ogni cosa è figlia del suo tempo, e il tempo di questo lavoro è passato. Non si può morire e rinascere, purtroppo o per fortuna, non si può.

Oramai i tuoi arrangiamenti sono un marchio di fabbrica e la tua voce è riconoscibilissima…
Può darsi, il tempo a volte aiuta anche in questo…

Raggiungere una propria identità artistica non è così facile…
No, non lo è affatto. Bisogna essere se stessi nel tempo, ed essere convinti di quello che si fa. Forse bisogna anche un po’ piacersi…

Se “Toilette Memoria” e “Splendore Terrore” erano titoli abbastanza criptici “Io Non Sono Come Te” è, al contrario, una intestazione decisamente lapalissiana. Da cosa sono scaturiti i titoli di questi tre album?
Non lo so bene. I titoli che attribuisco ai miei lavori rispecchiano i miei stati d’animo, è come un nome che dai a un figlio/a, in quel momento fai quella scelta, spesso solamente estetica. Dubito che dietro i titoli degli album ci siano pensieri profondi.

Tu che hai avuto l’occasione di vivere e vedere da vicino sia il mondo delle multinazionali che quello delle etichette indipendenti, pensi che tutto sommato sia meglio stare dalla parte delle piccole label e accontentarsi di andare in giro a fare concerti in piccoli club?
Decisamente quello che ci si guadagna è tantissimo. È pur vero che però dipende da come è fatto ognuno di noi. Da un punto di vista etico, credo che uscire per un etichetta indipendente sia molto più gratificante, ma credo anche che ci siano alcune Major che possano comportarsi onestamente e professionalmente, il problema è trovarle e instaurare un buon rapporto di lavoro con loro. Questo è molto difficile, almeno qui nell’estremo sud del continente.

Sta cambiando qualcosa nell’industria discografica oppure siamo al collasso in quanto la situazione è oramai irreversibile?
Non me lo sono mai chiesto, di sicuro la discografia riflette la società. Quindi siamo vicini al capolinea.

Sei anche tu dalla parte di coloro che pensano, come i Radiohead, che a questo punto sia meglio mettere i propri i lavori in rete gratis o al massimo dietro sottoscrizione o libera offerta?
Sì.

Sappiamo benissimo che sei un grande esperto di musica rock. Quali dischi di questi ultimi anni non dovrebbero mancare nella nostra discografia?
Sono tantissimi i dischi che non dovrebbero mancare ad alcuni di noi. Dico alcuni di noi, poiché non tutti i dischi che considero fondamentali, vanno bene nel lettore di molti. Di certo ne posso citare 3:
– Stars of The Lid – “The Ballasted Orchestra”
– Elliott Smith – “XO”
– Tortoise – “Millions Now Living Will Never Die”

Ci mettiamo anche un album di Moltheni, almeno per quanto riguarda la sezione riservata alla musica italiana?
No, non mi interessa proprio.

C’è qualcosa che davvero non sopporti del genere umano e di questo mondo? Cosa invece salveresti di quest’epoca?
Salverei gli animali e la natura, non sopporto più la gente. lo ammetto.

Sei molto legato alle tue origini? Quanto hanno influito sulla tua crescita culturale e professionale?
No non hanno influito per niente, poiché non sono legato affatto alle mie origini.

Un’ultima curiosità: la farmacia da cui prendesti il nome esiste ancora?
No, chiuse circa 4 anni fa… Non esiste più.

ML – UPDATE N. 50 (2007-10 -30)

foto by Simone Cecchetti

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Joanna Newsom – Roma, Circolo degli Artisti (23.09.2007)

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È una tiepida serata d’inizio autunno ed è anche la prima volta di Joanna Newsom a Roma. Ammetto di essere particolarmente eccitato come lo è del resto gran parte del pubblico che affolla il Circolo degli Artisti. Nonostante al mio ingresso i Moore Brothers abbiano smesso di suonare già da alcuni minuti, l’attesa è di quelle impazienti e tra gli spettatori serpeggia anche una evidente insofferenza per la temperatura, piuttosto elevata, all’interno del locale. Intanto c’è chi discute, chi ridacchia, chi sbuffa, chi fotografa, chi si asciuga il sudore sulla fronte e chi, invece, in religioso silenzio ha lo sguardo costantemente rivolto verso il palcoscenico. Insomma, una platea decisamente eterogenea: dal critico professionista al semplice appassionato passando, ovviamente, per i soliti alternativi di turno. Nel frattempo mi godo la vista di un palco illuminato di un tenue color arancione in cui troneggia nel bel mezzo, alla stregua di un grosso monolito, l’arpa della giovane Newsom; strumento a dir poco inconsueto per chi è abituato a frequentare raduni in cui svettano solitamente imperiose pile di amplificatori e improbabili chitarre elettriche. Sono da poco passate le 22:30 e quella tollerabile insofferenza improvvisamente viene spezzata dall’entrata in scena della giovane artista californiana. È lei! Graziosa più che mai, vestita di un intenso color rosso e un sorriso capace di far sciogliere l’intera calotta polare. Il pubblico applaude e lei si inchina porgendo un timido “Hello” mentre il resto della band, composta da una violinista, un chitarrista/mandolinista e un percussionista, prende posizione in ossequiosa tranquillità. Classe 1982, con all’attivo svariate collaborazioni con personaggi riconducibili alla cosiddetta scena pre-war folk quali Devendra Banhart e Vashti Bunyan, la ragazza prodigio dà immediatamente dimostrazione del suo smisurato talento artistico eseguendo una perfetta Bridges and balloons, brano tratto da The Milk-Eyed Mender del 2004, al termine del quale la platea, ancora attonita e stordita dall’esecuzione davvero impeccabile, esplode in una sincera ovazione. Joanna ringrazia, sorride e non esita a presentare i propri compagni di viaggio porgendo anche un saluto particolare ai “Fratelli Moore”, duo pop americano che ha aperto il concerto e di cui però non posso raccontarvi le gesta a causa del mio giustificato ritardo. Dopo aver sorseggiato dell’acqua, riparte con Emily e altre composizioni provenienti da Ys, capolavoro indiscusso datato appena 2006. L’entusiasmo, seppur contenuto, è a mille! Miss Newsom è ineccepibile sia nel canto che nel suonare l’arpa. Incantevole è infatti la sua espressività vocale come inappuntabile risulta essere la sua destrezza tecnica. Passione più attitudine insomma, e il risultato che ne consegue è un folk ancestrale, bucolico, da camera, suonato alla perfezione ma al contempo fresco e attuale soprattutto quando il canto dell’angelo californiano sembra accostarsi a quello straziante e vellutato di Billie Holiday e Bjork. Sawdust and diamonds e Monkey & Bear sono pezzi che prendono l’anima e le sue mani sembrano compiere continui giochi di prestigio. Poi tutto finisce. Il pubblico l’acclama. Allora lei torna per il bis, questa volta da sola, regalandoci qualche inedito e l’ultimo sorriso della serata. Eh sì, è proprio il caso di dirlo: un concerto da favola!

ML – UPDATE N. 49 (2007-10-25)

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L’altra – Intervista a Joseph Costa (2007)

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Dopo due perle d’indiscutibile bellezza come “Music Of a Sinking Occasion” e “In The Afternoon” e a due anni dall’uscita di “Different Days”, album che ha segnato un decisivo cambiamento di rotta della formazione di Chicago, abbiamo contattato Joseph Costa, chitarrista e voce de L’altra, per tentare di scoprire qualcosa sul futuro della formazione americana. Ne esce fuori una intervista breve, a spizzichi e bocconi, dove l’unica certezza è che per ora sia Joseph che Lindsay Anderson (voce e piano) hanno deciso di prendersi un lungo periodo di pausa per dedicarsi, ciascuno, ai propri progetti solisti. Con la speranza di incontrarli nuovamente su queste pagine…

Ciao Joseph, sono passati più di 3 anni dall’ultima volta che ci siamo sentiti per un’intervista; quali sono le novità dopo “Different Days”?
Ciao, le novità riguardano Lindsay che ha finito il suo disco solista intitolato “If” mentre io ho un nuovo album in uscita a gennaio su Costa Music e si chiamerà “Lighter Subjects”. Come L’Altra invece siamo in una sorta di vacanza per esplorare e sostenere le nostre nuove identità soliste.

Con “Different Days” c’è stato un significativo cambio di direzione. Una scelta coraggiosa. Che tipo di risposta avete avuto dal vostro pubblico e dalla critica in generale?
Parte di questo cambio di direzione è dovuto al lavoro a stretto contatto con il nostro nuovo produttore Josh Eustis dei Telefon Tel Aviv. Un’altra parte è dipesa dalla voglia di fare qualcosa di diverso e di non fare 3 dischi sullo stesso stile. Credo che alcune persone abbiano accettato il cambiamento altre invece no. Con “Different Days” abbiamo incrementato il numero di fans negli States. Penso che in Italia ci sia una più marcata differenza tra chi ama l’elettronica e chi ama più un suono indie-rock. Così, forse, questo nostro mix di elettronica e rock ci ha alienato qualche fan.

Vivi sempre a Chicago?
Sì, sebbene spendo sempre più tempo a New York per il mio lavoro sulla fotografia.

Cosa si dice da quelle parti? Voglio dire: c’è sempre il solito fermento creativo?
Chicago è un gran bel posto per fare musica, ci sono così tante cose interessanti che vengono prodotte e ottimi produttori con i quali lavorare…Marc Hellner dei Pulseprogramming ha prodotto il mio disco solista (Costa Music).

Siete ancora nel giro dell’Hefty Records di John Hughes (aka Slicker)?
No, sfortunatamente la Hefty Records sta chiudendo… Il disco di Lindsay Anderson uscirà su Minty Fresh, mentre Costa Music sarà rilasciato da Still Recordings.

Da L’altra dovremo aspettarci un altro cambio di rotta o un ritorno alle origini?
Non penso mai alle origini, quello che stiamo facendo è solo un cammino. Io non guardo mai indietro, è pericoloso.

Come sono i rapporti con Ken Dyber della Aesthetichs? Lo sentite ancora?
Sì, qualche volta parliamo, soprattutto sulle vendite dei dischi che ha rilasciato.

Musicalmente, c’è un sogno che vorresti realizzare?
Vorrei solo essere in grado di fare la musica che voglio. È sempre più difficile per le piccole etichette e per gli artisti in questa attuale fase dell’industria discografica. Mi sento fortunato a poter fare la mia musica, a poterla mettere su disco e farla arrivare alle orecchie della gente.

Recentemente abbiamo realizzato una raccolta degli album più rappresentativi del periodo 2001-2005 e tra questi abbiamo inserito “In Afternoon” del 2002. Cosa pensate di quel disco?
Sono felice di questa scelta. Quel disco è andato molto bene in Italia. Mi piace, è così ingenuo. Eravamo così giovani e aperti in quel periodo.

È molto bella la copertina di “In The Afternoon”, riesce a trasmettere perfettamente il contenuto musicale dell’album.
Grazie, ho lavorato a tutto l’artwork dell’album. Poi ho fatto le foto per il disco solista di Lindsay, così come per il mio… Musica e arte visiva sono la stessa cosa per me.

Tra quelli fino a ora realizzati, quale è il tuo disco preferito?
“Different Days” è quello che preferisco. Ed è stato anche il più difficile da realizzare.

La solita domanda: attualmente quale album stai ascoltando?
Ho appena comprato l’album dei Twilight Sad. Davvero buono, potente.

L’ultima volta Lindsay mi disse che sentiva la necessita di avere un figlio. Allora: maschio o femmina? È già un provetto musicista?
È un maschietto! E già ama suonare il piano !

Come va la tua carriera di fotografo?
Bene, è tutto quello che faccio oltre a suonare. Sono così fortunato a trovarmi in questa posizione.

Quando vi vedremo in Italia?
Personalmente spero di venire presto in tour in Europa col mio album solista. Ho anche sposato una ragazza italiana, quindi suppongo che passerò molto tempo in Italia…

Grazie e buon lavoro!
Grazie, continuate così.

ML – UPDATE N. 49 (2007-10-25)

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Intervista su Qui Magazine (2009)

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QUI MAGAZINE Frosinone | Maggio 2009

Musicletter, la musica è in linea di Ilaria Ferri

ALLA FANZINE NATA NEL 2005 PER INIZIATIVA DI LUCA D’AMBROSIO COLLABORANO TANTI APPASSIONATI

L’amore per la musica, la voglia di diffondere una cultura alternativa, il piacere di scrivere, di curiosare e portare alla luce le gemme spesso nascoste del panorama nazionale e internazionale: sono questi gli elementi che hanno portato alla nascita di Musicletter, fanzine creata da Luca D’Ambrosio, oggi una delle riviste on line più consultate e autorevoli, grazie all’apporto di collaboratori appassionati, provenienti anche dal mondo del giornalismo musicale “tradizionale”. Di questa bella realtà abbiamo parlato con Luca (ideatore anche del festival sorano “Riverland”).

Luca, come nasce l’avventura di Musicletter?

Nasce dalla mia passione per la musica e dal tentativo di voler condividere le proprie emozioni cercando di metterle “nero su bianco”. L’avventura è iniziata nel febbraio del 2005 con una semplice newsletter contenente alcune mie recensioni destinata ad appena 300 indirizzi di posta elettronica. All’epoca non avevo alcun collaboratore e il sito ancora non esisteva, anche perché non pensavo minimamente che quell’idea potesse riscontrare così tanto successo. Poi, con il tempo, il numero dei destinatari è andato ad aumentare così come quello dei collaboratori. Il nostro scopo è di fare da filtro alla gran quantità di dischi che oggigiorno si producono e ci vengono propinati dalla rete, dalle radio e dalle stesse riviste specializzate. In un certo senso ci stiamo riuscendo, almeno nel principio generale che è, appunto, quello di scegliere la “buona musica”.

Musicletter è anche cartacea o ha solo un’edizione on line?

ML è scaricabile gratuitamente in formato pdf sul sito www.musicletter.it. Ognuno può farne ciò che vuole: leggerla on-line o stamparne una o più copie per sé o per gli amici. Noi, per esempio, ne facciamo giusto un paio di copie cartacee, anche perché bisogna salvaguardare l’ambiente. Altrimenti tutta questa tecnologia a disposizione a cosa serve?

Quanti contatti al mese avete?

Abbiamo una mailing list di oltre 9.000 indirizzi di posta elettronica a cui spediamo sistematicamente i nostri aggiornamenti. Posso dirti che nell’ultimo mese abbiamo avuto circa 1.300 visite. Il contavisite del sito in questo preciso istante segna 41.358.

Tra i collaboratori ci sono anche nomi noti del giornalismo “tradizionale” nazionale.

Sì, ci sono “semplici” appassionati di musica e critici che collaborano con altre riviste nazionali: tra questi ci sono anche dei giornalisti iscritti all’albo e persino un ex conduttore di Rai Stereonotte. La cosa più importante è che si tratta di gente davvero esperta e in gamba: dal nord al sud dell’Italia. Senza di loro Ml non sarebbe quello che è.

Il Riverland festival ha siglato l’anno scorso la seconda “puntata”.

Dopo tanti anni di “buio culturale” ho tentato di portare una ventata d’aria nuova nella mia città, Sora, realizzando un festival di “musica alternativa” che, nell’ultima edizione del 2008, ha visto esibirsi gruppi come The Niro e Gentlemen’s Agreement. Che atmosfera si è respirata? Semplicemente emozionante e con un pubblico numeroso che è accorso specialmente da fuori.

La prima, nel 2007, invece come è andata?

Molto bene anche se la tensione era davvero altissima. Un’agitazione che è stata sciolta dai Desert Motel capaci di regalarci una serata indimenticabile.

L’edizione numero 3 invece è in forse. Ci puoi spiegare perché?

È una tristezza, ma sono stanco di chiedere l’elemosina per organizzare certi eventi culturali che, oltretutto, vengono snobbati dalla popolazione autoctona e dalle istituzioni locali. Nonostante la buona volontà di alcuni amici e di qualche amministratore, siamo ancora legati a un concetto “tradizionale” e “classico” di cultura. Un esempio? Con tutto il rispetto per i grandi della musica rock, che tra l’altro adoro, conosco gente che ascolta ancora solo ed esclusivamente i soliti nomi come Bruce Springsteen, Bob Dylan, Ry Cooder, i Doors, i Pink Floyd credendo che di musica buona non se ne faccia più. Una sciocca affermazione. La musica buona c’è ancora, basta non smettere di cercarla ma soprattutto di ascoltarla. La vecchiaia spesso fa brutti scherzi. Tornando al festival, posso dirti che, nonostante il successo delle due precedenti edizioni, allo stato attuale ho deciso di mettere tre puntini sospensivi. Il mio auspicio, ovviamente, è quello di trovare un buon samaritano (pubblico o privato) che con un migliaio di euro voglia sostenere questa terza edizione di Riverland. Al momento non vedo vie d’uscita.

Esiste un autore o una band italiana secondo te sottovalutati?

Ti faccio qualche nome che in questo momento mi ronza nella mente: i Flor De Mal (poi Flor), Amerigo Verardi e Moltheni.

Conosci bene la scena musicale provinciale? Che ne pensi?

In linea generale posso dirti che, rispetto al passato, c’è stato un netto miglioramento specialmente nell’area di Frosinone. Qui a Sora, invece, da qualche anno qualcosa si sta muovendo ma siamo ancora lontani anni luce. Il problema è sempre lo stesso: mancanza di cultura “alternativa”. Nonostante i buoni propositi, il substrato culturale è ancora arido.

Perché, secondo te, nonostante tutti gli sforzi e alcuni nomi validi, questa scena non ha mai veramente “sfondato” a livello nazionale?

È il solito mistero italiano. A dire il vero però c’è un personaggio “indie” che conosco e che ha sfondato, si chiama Silvio ma fa un genere troppo “fake” per piacermi (sorride, ndr).