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Spotify e le canzoni generate dall’AI: il caso degli artisti deceduti

Secondo quanto ricostruito dal sito 404 Media, e diffuso da altri siti autorevoli, Spotify avrebbe ospitato brani generati dall'intelligenza artificiale sulle pagine ufficiali di artisti deceduti come Blaze Foley e Guy Clark, senza autorizzazione da parte delle etichette o dei titolari dei diritti. Le tracce, rimosse dopo la segnalazione, sollevano interrogativi sull'autenticità e la protezione dell'eredità musicale.

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Negli ultimi tempi, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel campo musicale ha sollevato dibattiti complessi, legati all’autorialità, all’identità artistica e alla tutela dei diritti. Un recente episodio che ha coinvolto Spotify, TikTok e brani attribuiti a musicisti deceduti come Blaze Foley e Guy Clark ha riportato con forza l’attenzione sulla necessità di regole più stringenti nella distribuzione musicale digitale, così come si legge dal sito 404 Media.

Brani pubblicati senza autorizzazione

Leggendo i vari articoli apparsi su magazine online autorevoli, come Rockol, Macitynet e Consequence of Sound, la vicenda ha avuto origine quando sulla piattaforma Spotify sono apparse nuove canzoni apparentemente attribuite a Blaze Foley, cantautore country scomparso nel 1989, e a Guy Clark, anch’egli noto cantautore country morto nel 2016. Le tracce, denominate rispettivamente Together e Happened To You, erano state caricate attraverso SoundOn, il distributore musicale di proprietà di TikTok.

Secondo quanto ricostruito dal sito 404 Media, le tracce erano state pubblicate senza alcuna autorizzazione da parte dei titolari dei diritti degli artisti o delle rispettive etichette discografiche. Il contenuto è stato successivamente rimosso da Spotify, che ha motivato l’intervento con la violazione della policy relativa ai “contenuti ingannevoli”. Tuttavia, le canzoni sono rimaste disponibili per giorni, venendo ascoltate da migliaia di utenti prima dell’intervento della piattaforma.

Una questione di autenticità

Craig McDonald, proprietario dell’etichetta Lost Art Records che gestisce il catalogo e la pagina Spotify di Blaze Foley, ha dichiarato di aver scoperto la pubblicazione non autorizzata casualmente. A suo parere, qualsiasi fan dell’artista avrebbe riconosciuto immediatamente che si trattava di brani non autentici, distanti dal timbro e dallo stile inconfondibile di Foley. L’uso della voce artificiale e di immagini generate dall’AI avrebbe inoltre contribuito a creare un prodotto privo di coerenza artistica.

Un altro elemento che ha sollevato perplessità è la presenza del simbolo del copyright associato a un’entità denominata “Syntax Error”, di cui non esistono riferimenti noti nel settore della distribuzione musicale. Questa sigla è comparsa anche su altri brani generati con l’AI, attribuiti a Guy Clark e ad altri artisti, suggerendo un’azione coordinata da parte di un soggetto non identificato.

Le responsabilità delle piattaforme

Il caso ha evidenziato alcune vulnerabilità nei sistemi di caricamento e verifica delle piattaforme di distribuzione musicale digitale. In particolare, il fatto che sia stato possibile pubblicare brani generati dall’AI direttamente sulle pagine ufficiali di artisti deceduti senza alcuna approvazione preventiva da parte dei legittimi gestori dei diritti pone interrogativi sul ruolo delle piattaforme come Spotify.

Secondo McDonald, la piattaforma avrebbe gli strumenti tecnici per impedire simili episodi, ma non li utilizza. Sarebbe infatti sufficiente, a suo avviso, implementare un sistema di approvazione da parte del titolare della pagina prima della pubblicazione di nuovi contenuti. La mancata adozione di simili precauzioni espone artisti e ascoltatori a una distorsione dell’identità artistica, con conseguenze potenzialmente dannose per la reputazione dei musicisti coinvolti.

Un fenomeno in espansione

L’episodio non rappresenta un caso isolato. Negli ultimi mesi, diverse tracce generate artificialmente sono state caricate su Spotify, spesso senza alcuna segnalazione chiara della loro natura sintetica. Alcuni progetti dichiaratamente basati sull’intelligenza artificiale, come la band Velvet Sundown, hanno ottenuto ampio seguito e milioni di ascolti, presentandosi come provocazioni artistiche volte a esplorare i confini della musica nell’era digitale.

Tuttavia, la differenza fondamentale rispetto ai casi di Foley e Clark è che in quei casi i brani sono stati esplicitamente assegnati a nomi di artisti defunti, senza autorizzazione, alimentando confusione tra gli ascoltatori e compromettendo l’integrità del repertorio originale.

Considerazioni finali

Il caso sollevato da questa vicenda evidenzia la necessità urgente di regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale nel settore musicale, non solo dal punto di vista legale, ma anche etico. L’associazione indebita di contenuti generati da algoritmi a figure artistiche realmente esistite e ormai scomparse rappresenta un rischio concreto per la memoria culturale e l’identità degli artisti.

In attesa di una normativa più chiara, il compito di proteggere l’integrità del catalogo musicale ricade sulle piattaforme di distribuzione e sui distributori digitali, chiamati ad assumere un ruolo attivo nella prevenzione di frodi e contenuti ingannevoli. (La redazione)


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