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John Doe – Keeper (2011)

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John Doe con sette album incisi a partire dal 1990 si è conquistata solida credibilità da moderno songwriter di alt. rock – la considerazione da parte della critica è andata via via crescendo – dopo essere stato sul finire dei ’70 uno dei fondatori della leggendaria e seminale band punk di Los Angeles degli X, gruppo di cui è ancora membro attivo. A latere va considerata anche l’attività con i Knitters e la recente collaborazione con i Sadies nell’album “Country Club” del 2009. Un veterano della scena, insomma. Il nuovo album, l’ottavo, costituisce la naturale prosecuzione di “A Year in the Wilderness” del 2007, sempre su etichetta Yep Roc. Registrato in sei mesi con la supervisione produttiva di Dave Way ed il contributo in veste di gradite guest-star di gente quale Patty Griffin, Don Was, Smokey Hormel, Cindy Wasserman, Jill Sobule e Steve Berlin, “Keeper” è una raccolta di magnifiche canzoni, tra rock, ballad e blues. Doe è riuscito magnificamente a scrollarsi di dosso il fantasma del passato, ovvero di quello spettro rappresentato dal suo incendiario passato punk, quando attraverso i brani composti assieme alla poetessa e vocalist (ed ex-moglie) Exene Cervenka si era rivolto a una generazione di giovani scontenti e disillusi, per nulla a loro agio nell’America conservatrice di Ronald Reagan. Così il secondo periodo della carriera del cantante, poeta, attore (sì, sono numerosi i film cui ha preso parte con ruoli interessanti) e bassista dell’Illinois, è stato costruito all’insegna di una consapevole maturità, l’intensità e l’aggressività dei suoni di un tempo messe da parte in favore di un profilo low intrigato dall’alt-country e dal folk (si guardi all’album di debutto solista, “Meet John Doe” del 1990 o a quello del 2002 “Dim Stars, Bright Sky”) che ha prodotto preziose gemme compositive dalle quali è emerso un nuovo consapevole contesto: la ribellione dei primi anni ’80 era priva di causa e d’effetto. L’artista è oggi quanto mai affidabile e credibile, e ha una voce carica d’anni che esprime sentimenti tipici da ‘loner’. Il nuovo album deve poi fare i conti con una nuova stagione della vita che si profila una volta superata la cinquantina (Doe in realtà i 50 li ha già superati da qualche anno), con problematiche di appagamento e di soddisfazione. In aperture “Don’t Forget How Much I Love” ha i tempi di un solido rock alla Bob Seger e “Never Enough” è tratteggiata dal suono frenetico di un sax che rimanda direttamente agli X, “Moonbeam” ha un accattivante incedere slow-blues grazie al delizioso sostegno del pianoforte (di Howe Gelb dei Giant Sand), “Walking Out That Door” ha gusto honky tonk, e in chiusura la scatenata “Painting the Town Blue” dell’83 si riallaccia evocativamente (e non solo) alla imprescindibile stagione X. Tutto riluce di gusto sapiente e omogeneo, non c’è che dire, e nessun pezzo si pone un gradino sopra gli altri. (Luigi Lozzi)

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