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Stefania Paterniani – Pentagocce (2012)

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Della bontà e della passione che la salentina Dodicilune pone nella realizzazione e nella produzione dei suoi dischi non c’è più in alcun modo di dubitare. L’etichetta, tra l’altro, si è confermata – nel prestigioso Jazzit Award 2011, referendum indetto dalla rivista Jazzit tra appassionati e operatori del settore – tra le tre migliori case indipendenti italiane. Un percorso d’avvicinamento a simili riconoscimenti avviato fin dal 1995, avendo ben chiara sul proprio percorso la stella polare di una visione e di un approccio con la musica al tempo stesso moderna e rivelatrice dell’enorme bagaglio culturale che il nostro paese continua in parte a celare per ataviche deficienze strutturali. Ecco allora che l’instancabile lavoro di un gruppo di appassionati che ne tengono le fila permette la (ri)scoperta di realtà musicali nostrane, di talenti e schegge sonore che altrimenti non avrebbero modo di porsi in evidenza. Cartina tornasole anche dell’impegno di una regione, quella salentina, che in quanto a creatività in ambito musicale da diverso tempo non è seconda a nessun’altra. Muovendosi tra jazz, classica, musica contemporanea, suggestioni folk e contaminazioni d’altra natura, Dodicilune ha incoraggiato i progetti discografici di numerosi artisti, alcuni assai affermati, altri esordienti. Per scoprirne il valore artistico e le qualità estetiche si ha solo bisogno di alimentare la propria curiosità di appassionati di musica a 360°, pronti all’ascolto senza pregiudizi. Tra i dischi (innumerevoli) più recenti che Dodicilune ha pubblicato trova posto “Pentagocce” della pianista (e vocalista) pesarese Stefania Paterniani che, contornata da una formazione variegata (Massimo Morganti, trombone, Samuele Garofoli, tromba e flicorno, Marco Di Meo, chitarra acustica, Michele Vagnini, viola e Mauro Lorusso, campane tibetane) e dinamica, priva di batteria e contrabbasso, esprime i prodromi di un minimalismo espressivo contemporaneo che non tarda a conquistare i sensi di chi si pone all’ascolto con puntuale disponibilità. Per l’artista poi, il lavoro intorno a “Pentagocce” ha rappresentato un doppio concepimento; uno, quello artistico, che si è intrecciato con l’altro, la contemporanea gravidanza che ha portato alla nascita della figlia Susanna cui il disco è dedicato. In effetti il progetto è nato, ha preso forma, quando la Paterniani si è accorta di essere incinta, facendole decidere così di dedicare al nascituro/a nove mesi di assoluta creatività umana e artistica. L’approccio musicale è decisamente jazz, ma mai canonico, limpido ed essenziale nel suo formalismo (apparentemente) dissonante ma armonicamente raffinato, e tante le sfumature – a partire dal vocalismo ‘sintetico’ e delicato della stessa Stefania in sei dei nove brani complessivi – che conducono (o provano a spingersi) verso i lidi di certa musica ricercata e colta europea (Satie & Co.). I testi si tingono di poeticità intorno ai temi della nascita e dell’acqua, del silenzio e dei sogni, e la voce della ragazza si ammanta di evocativa e mediterranea arcaicità. Più che esplicite a spiegarne gli intenti le affermazioni dell’artista: “Delle mie canzoni direi che hanno una forma molto personale. Esse non rispettano i canoni della forma tradizionale perché quando scrivo un testo lo scrivo in ‘totale’ silenzio, lontano dal piano o altri strumenti. La musica è l’energia senza la quale quelle parole non potrebbero parlare”. (Luigi Lozzi)


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