Recensione: Cesare Basile – Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più (2015)

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Sono di Noto. E i “caminanti” li conosco bene. Con le loro mille storie, metà vere, metà presunte. Gente che sta ai margini. Emarginata per scelta. Come atto estremo d’amore per la propria patria senza bandiera. Dei caminanti Cesare ne ha già parlato. E, nel frattempo, i Caminanti (Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo, Luca Recchia, Massimo Ferrarotto, all’ occorrenza Manuel Agnelli) sono diventati il suo gruppo. Quello che l’ha accompagnato nell’ultimo tour e che mette carne e ossa in questo suo nuovo disco. Il primo svincolato dagli obblighi SIAE per scelta determinata del suo autore. Un disco che sa tanto di legno e di ferraglia arrugginita. Primitivo e libertario. A metà fra il Capossela di Ovunque proteggi e Tutti morimmo a stento di De Andrè. Una ringhiera che accompagna le sagome di Orazio Strano e Rosa Balistreri lungo gli scalini della nostra memoria. Sagome che non proiettano ombre. Ma che restano comunque ingombranti, quando si parla di pupari e di anime puttane, come accade dentro questo nuovo disco di Cesare Basile, dentro questo labirinto di filastrocche dalla schiena curva (A Muscatedda, Araziu Stranu, Ciuri, Manianti), di haiku doloranti (U chiamunu travagghiu, La vostra misera cambiale cantata da Lilith, Tu prenditi l’ amore che vuoi, Di quali notti) e di bestemmie sputate in alto per far piovere su una terra troppo arsa per avere la pazienza saggia di attendere una pioggia che non arriverà (Filastrocca, Franchina, Libertà). Amore, in siciliano, non fa mai rima con cuore. Solo con dolore. E Cesare è uno che sa usare le rime. (Franco Dimauro)



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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 6 Febbraio 2015

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