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Recensione: The Molochs – America’s Velvet Glory, 2017 (full album stream)

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Non lo so se fa figo ascoltare i Molochs. Fa figo? Probabilmente no. Nel senso che non è che facciano copertine di quelle che le mostri a qualcuno e lo stendi a terra. Stavolta peggio che la prima, a dirla tutta. Perché Cameron Gartung e Ryan Foster hanno deciso di metterci la faccia. E si sono messi in posa non come se dovessero fare una foto per la copertina del loro secondo album ma come se avessero deciso, un po’ a malavoglia, di cambiare la foto profilo su Facebook.

Quindi, insomma, se tiri fuori il disco dei Molochs non aspettatevi di fare chissà quale figurone. Però, nonostante questo ricorso alle pose defilate, alle foto da “very normal people” o ai disegni un po’ infantili della più classica tradizione lo-fi (andatevi a ripassare gli archivi di Daniel Johnston, Half Japanese o Beat Happening) che i nostri condividono con gran parte delle formazioni affini (in questo caso date una scrollata ai cataloghi della In the Red, della Lost Tapes o della stessa Innovative Leisure), la musica dei Molochs possiede un suo fascino, giocato tra le intercapedini del folk acido (quello americano ma anche quello britannico di Syd Barrett e Robyn Hitchcock che sfoggiano con i rossetti viola di Charlie’s Lips e nella dormiveglia di That’s the Trouble With You), degli Stones dell’epoca beat (le arie di I’m Free svolazzano, “libere” appunto, su You and Me), del rock trasognato di Jonathan Richman (New York, perla trasversale del disco, You Never Learn) e del garage sfumato nel folk punk dei Thanes e degli ultimi Wylde Mammoths. Dunque facciamo così: voi vi tenete i vostri dischi fighi e io mi tengo sul piatto i Molochs. (Franco Dimauro)

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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 23 Febbraio 2017

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