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Massimo Volume – Aspettando i Barbari (2013)

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Aspettavamo i barbari. E il primo giorno del decimo mese dell’anno 2013, sono arrivati. Approfittando dei nostri ponti levatoi abbassati, delle nostre torri sguarnite. Con le nostre truppe sorprese nel sonno o a masticare tabacco per simulare una febbre atavica e incurabile. Una febbre con cui cingere il dolore e renderlo manifesto, perché il nemico se ne accorgesse e muovesse a pietà. Un malessere indotto, per sopportare meglio la nausea. Perché “vince chi resiste alla nausea”, per dirlo con le parole di Danilo Dolci. O “chi non ha da perdere”. L’ultima guerra. Messa in piedi proprio per noi, figli di un secolo che non avrà spazio nei libri di storia, bagnati di luce annoiata. Vengono. E non hanno nulla da prendere. Perché si son già presi tutto quelli che invece venivano in auto confortevoli e abiti ben stirarti, con l’alito fresco e le camicie pulite. Quelli che venivano accolti con le bandiere issate e le cortigiane già calde. Aspettando i barbari è un disco folgorante, come ogni disco del Sig. Volume Massimo, da Bologna. Classe 1991. Un disco inquieto, come e più di quelli che l’ hanno preceduto. Un disco che ci sfida a non perdere la memoria, obbligandoci a ricordare, che ci piaccia o no. L’ultimo baluardo della nostra individualità violentata dalle multinazionali del food, del sesso e del tempo libero. Ora che la Nutella e la Coca-Cola ci rassicurano mettendo il nostro nome sull’etichetta e McDonald‘s ci invita a tradire il pizzicagnolo sotto casa per sederci a fare colazione sui suoi sgabelli che puzzano di scorregge alla senape, invitando amici che diserteranno per non sentirsi in obbligo con noi e, soprattutto col resto del mondo. Aspettando i barbari è, ancora una volta, un disco per cavalcare la solitudine. Un disco che racconta storie ordinarie e straordinarie. Un disco dove gli altri sono, sempre e soltanto, un ricordo, una memoria, un souvenir mentre il nostro dolore è sempiterno, perpetuo, immortale. Ho avuto a cena gente che si vergognava di me. Hanno diviso il mio pane e bevuto il mio vino. E ora mi dolgo. “Io sono l’altro lui che volta le spalle bruciato di luce confuso nel paesaggio e senza dare nell’occhio esco fuori dall’inquadratura devoto a nessuno votato alla fuga”. Bentornato, Attila. Bentornato, Sig. Volume. (Franco Dimauro)

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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 1 Ottobre 2013

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