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Recensione: The Zen Circus – Canzoni contro la natura (2014)

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Gli Zen Circus avevano già mandato affanculo tutti cinque anni fa. Ma i tempi cambiano, e c’è sempre qualcuno o qualcosa da mandare altrove. Nuovi arrivati da aggiungere all’elenco o scarti sfuggiti alla lista precedente. Il qualunquismo, il mutuo, la disillusione, i Cinque Stelle. E così ecco il gruppo pisano affidare all’invettiva del brano inaugurale un’altra buona dose di rancore subito doppiata dall’altrettanto velenosa parata disumana di Postumia. Sono i brani che danno l’impronta barricadera di buona parte del disco, quella che avanza facendosi strada tra il vibrato Finardiano di Canzoni contro la natura e i Modena City Ramblers di Vai Vai Vai! e della giga di Mi son ritrovato vivo fino a sfociare nella ballata panteista Albero di tiglio, nel rimpasto de Il Pescatore di L’anarchico e il generale che ci fa rimpiangere i Gang e nel tex-mex alla Calexico di Dalì, in un processo di spersonalizzazione ed invecchiamento cutaneo che ha del prodigioso, allargando l’angolo acuto del Circo Zen fino a renderlo ottuso e pilotando il treno folk punk del trio toscano verso il binario morto di No way e Sestri Levante. Non mi piace fare il salmone ma delle grandi parole che ho letto in rete a proposito di Canzoni contro la natura, non mi sento di sottoscriverne alcuna, anche a costo di venir aggiunto alla lista delle prossime cose da mandare a quel paese. Speriamo solo sia un paese migliore di questo. (Franco Dimauro)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 24 Febbraio 2014

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