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(Ri)visti in TV: Carrie, lo sguardo di Satana di Brian De Palma (1976)

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La giovane Carrie White rimane scossa dalla scoperta delle sue prime mestruazioni nel bagno della scuola e vien presa in giro dalle compagne di classe perché completamente a digiuno di fisiologia e sessualità femminile. Una volta a casa discute animatamente con la madre Margaret – istericamente imbevuta di precettistica cristiana – che non le ha mai detto nulla su un evento così naturale e che, al contrario, inizia a punirla, praticando su di lei una serie di rituali esorcistici intendendo tale notizia come il segno di avvenimenti funesti (la ragazza e la madre d’altra parte sono state abbandonate dal capofamiglia dopo la nascita di Carrie). Goffa e bruttina, emarginata dai coetanei, è molto sorpresa dell’invito di Tommy, uno dei ragazzi più belli della scuola, ad accompagnarla all’annuale ballo d’istituto, ma decide di parteciparvi (disobbedendo al divieto oppostole dalla madre) ignara del fatto che, invero, la seducente e accattivante richiesta è il frutto d’uno scherzo atroce organizzato da Sue, sua compagna di classe che la disprezza. Lo svolgimento della serata parrebbe il coronamento di tutti i desideri più reconditi di Carrie (viene scelta come reginetta della festa) segnando il suo definitivo riscatto sociale ma ben presto la dolce e sognante atmofera assume i connotati di un incubo: al momento della premiazione le viene fatto cadere addosso un secchio pieno di sangue di maiale. Ingannata ed umiliata, ridicolizzata davanti a tutti, Carrie sfoga tutta la rabbia e la frustrazione accumulata utilizzando le sue facoltà psicocinetiche – apparse con la manifestazione delle prime mestruazioni – mediante le quali provoca un incendio che distrugge il salone e causa una strage fra gli studenti. Rientra a casa in condizioni spaventose e viene aggredita dalla madre che, in preda ad una crisi di follia, vorrebbe ucciderla per liberarla dal peccato insinuatosi nel suo corpo nel momento in cui è diventata donna. Carrie viene colpita con un grosso coltello ma, liberatasi dall’abbraccio mortale, la crocifigge, letteralmente, con i coltelli da cucina e, incendiata la casa, si lascia bruciare viva. Sue che si è salvata dal rogo della scuola, depone i fiori sulla tomba di Carrie: una mano insanguinata, però, spunta dalla terra e le afferra il braccio. Tra gli horror di maggior successo (commerciale) e qualità degli anni ‘70, Carrie, lo sguardo di Satana (1976) è certamente una delle opere più personali di Brian De Palma che – sulla scorta dell’omonimo romanzo di Stephen King, parzialmente modificato – costruisce un film in cui confluiscono e convivono alla perfezione pluralità di significati e invenzioni e/o forzature linguistiche. Aderendo fedelmente al new deal dell’horror a stelle e strisce degli anni ‘70, l’autore mette in scena il superamento dei limiti “morali e visivi” imposti dalla compostezza espressiva del cinema classico. Tutto (l’orrore) è, infatti, spudoratamente mostrato in piena luce, nulla è suggerito o evocato al fine di (ri)affermare la centralità del corpo di Carrie e del suo sguardo (fondamentale il dettaglio sull’occhio della ragazza) che si trova continuamente al centro dell’azione quale leitmotiv che la (e ci) guida negli snodi narrativi più importanti. Grandangolo esasperato, filtri con lenti deformanti che la fotografia di Mario Tosi utilizza per creare un’atmosfera indefinita oscillante tra il sogno e l’incubo, inquadrature abnormi in cui i ralenti si alternano ad accentuati e repentini movimenti della MDP: tutto è, quindi, “tecnicamente” impiegato per rappresentare la mostruosità di un tessuto familiare-scolastico che è così pervasiva da aver invaso definitivamente il corpo di Carrie e aver innescato – in una fin troppo evidente metafora di imminente “breakdown” sociale – una reazione che non può che esser violentemente (auto)distruttiva. Brian De Palma non rinuncia all’effettistica virtuosa che è una costante del film (e che costituisce il marchio di fabbrica dell’intera produzione cinematografica dell’autore americano) sin già dall’inizio con la celebre scena della doccia in cui la MDP c’immerge lentamente (ralenti) in un’atmosfera di soffuso erotismo voyeuristico – sonorizzata da un un tema musicale dolce e soffuso composto da Pino Donaggio – che, all’improvviso, si trasforma in una situazione di opprimente imbarazzo oscillante tra il drammatico disagio personale di Carrie, terrorizzata dalla vista del sangue, e la beffarda derisione delle compagne, insensibili e perfide. Il magistero del regista americano, però, si nota nella seconda parte dell’opera e, in particolare, nella macro-sequenza girata all’interno dell’istituto scolastico che si compone a sua volta di tre sequenze principali: la festa, lo scherzo al momento della premiazione e l’incendio. Nella prima circostanza la cinepresa sembra assumere una mobilità pressocchè illimitata: il ballo tra Tommy e Carrie è ripreso, infatti, in un continuo movimento circolare mentre i due attori sono collocati su una piattaforma che ruota in senso opposto. Nella seconda sequenza, poi, la riproduzione visiva della premiazione si fonda sul dilatamento temporale mediante l’impiego insistito del ralenti (ancora una volta!) e la scansione percettiva dello spazio mediante le traiettorie degli sguardi che i protagonisti si scambiano (tecnica che De Palma impiegherà anche in altre circostanze come in quella della stazione de “Gli Intoccabili”). La visione soggettiva del pubblico che ride sguaiatamente alla vista di Carrie ricoperta dal sangue, infine, (ci) prepara alla scena dell’incendio della sala che il regista gira con la tecnica dello split-screen frazionando lo schermo in quattro inquadrature che consentono la registrazione visiva immediata e “totale” dell’evento. L’ultima trovata creativa riguarda il post-finale: la mano insanguinata di Carrie che spunta dalla terra e afferra il braccio di Sue e che equivale per l’autore alla figurazione simbolica di uno shock postumo, diventerà un vero e proprio topos per tanti altri film di genere. Ambizioso nel suo prometeico tentativo di riscrittura post-moderna dei cliché dell’horror, Carrie, lo sguardo di Satana racchiude, inoltre, al suo interno la metafora dell’ancestrale paura maschile delle donna: la protagonista sviluppa i suoi poteri quando ha le prime mestruazioni e scopre, quindi, il suo potere femminile sul mondo; i ruoli maschili sono ornamentali e semi-caricaturali giacché il potere matriarcale governa le relazioni familiari e scolastiche. Non per questo motivo, comunque, si può accusare – come alcuni hanno fatto – il film di misoginia (seppur latente) perchè la perfidia (le compagne di scuola), l’isteria (la madre) ed il furore (Carrie) femminili nascono dal degrado dei rapporti umani. Sul banco degli accusati, infatti, Brian De Palma non colloca la donna ma le istituzioni: la famiglia, la scuola, la società. Carrie, lo sguardo di Satana è, per queste ragioni, un’opera ferocemente politica che incastra sapientemente la messa in scena della solitudine umana e dello scacco emotivo di una infelice ragazza di provincia con la squallida rappresentazione (da un lato) del granitico conservatorismo del mondo scolastico americano rigidamente classista, fondato su una desolante ritualistica (lo sport, il ballo) e con la “mise en abyme” (dall’altro lato) della struttura familiare. A ben vedere più che un horror… un’apocalisse. (Nicola Pice)



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