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Recensione: Dedo – Cuore Elettroacustico (2016)


Non è ska e non è funk, non è pop ma neanche rock, non è radiofonico ma neanche trasgressivo. Insomma, il nuovo disco di Dedo prende tutto e di tutto si veste in un minestrone di gusto e fantasia. Si intitola Cuore Elettroacustico questo nuovo capitolo del trombonista famoso per Sanremo, famoso per aver come compagni di viaggio e di musica il grande Max Gazzè – che ritroviamo al basso nel brano Taggami il nervo dell’amore – ma soprattutto famoso perché sono anni lunghi di grande carriera e di ottimi riscontri. E da solista torna a fare la sua musica, un po’ digitale e un po’ suonata, in questo lavoro che sinceramente non mi fa impazzire come sembra promettermi nelle prime fasi di ogni brano. Di sicuro ha melodie che prendono e che restano inchiodate alla memoria come la primissima Attendi solo un po’ e, per tutto l’ascolto che consiglio di fare con estrema attenzione, si pregia di testi intelligenti e ricchi di critica e di polemica verso il tempo che corre, spara a zero sulla crisi culturale e non fa prigionieri sui temi che sono di tutti, che sono sociali. Cita Orwell, cita il consumismo e la stasi celebrale indotta dalla televisione – vedi singolo Resta sul divano – da addosso a noi popolani ormai privi di una reazione che sia utile a cambiare le cose.

In sostanza questo Cuore Elettroacustico l’ho trovato forte e intelligente, ricco e cattivo quanto basta per smuovermi riflessioni utili, però musicalmente non è arrivato al segno con un suono troppo plastificato e – mi azzarderei anche a definire estremamente piatto e compresso nel master – melodie accattivanti ma senza quel piglio dinamico e stilistico che fanno la differenza. Tantissime citazioni all’interno, il nostro Dedo va a richiamare un po’ l’uno e un po’ l’altro della scena pop italiana (e forse non solo ma qui si ferma la mia cultura discografica), come per esempio io ci ho trovato anche Tiziano Ferro quando Dedo canta Dicono. E nel pop/funk/ska all’italiana impossibile non citare l’ispirazione a Elio, non solo per la presenza del buon Faso al basso nel brano Piango alla TV (e dal titolo si torna dritti a parlare di quanto sopra), ma anche per la chiusa del disco affidata a uno strumentale che se manca di testo resta esplicito nel titolo: Il ballo del maiale ingrifato. Dedo diverte e fa riflettere, Dedo fa grande mestiere e si rende popolare, scanzonato e impegnato, profondo e superficiale; forse però, non tutti questi ingredienti sono stati dosati nel modo migliore. Per ora fate buono il vostro ascolto, però con attenzione! (Alessandro Riva)


MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 27 Agosto 2016

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