Ghali, rapper milanese di origini tunisine, è stato il primo artista italiano a parlare apertamente di genocidio durante il Festival di Sanremo 2024. Le sue parole hanno scatenato dibattiti pubblici e istituzionali, confermandolo artista impegnato e tra i più ascoltati in Italia.
Ghali (press photo)
Ghali, rapper e cantautore nato a Milano da genitori tunisini, ha intrecciato fin dagli inizi della sua carriera musica e attivismo. Nel 2022 ha donato una barca a Mediterranea Saving Humans, confermando la sua attenzione verso i diritti dei migranti. L’artista è stato anche il primo in Italia a parlare apertamente di genocidio del popolo palestinese da parte dello Stato d’Israele, una posizione che ha ribadito pubblicamente dopo il deprecabile e orrendo atto terroristico del 7 ottobre 2023 di Hamas che ha visto la morte di circa 1200 israeliani.
Durante il Festival di Sanremo 2024, Ghali aveva portato sul palco dell’Ariston il tema del genocidio della popolazione palestinese. Le sue parole avevano suscitato reazioni contrastanti. La comunità ebraica italiana, nella persone di Noemi Di Segni e dell’ambasciatore israeliano Alon Bar e di alcuni esponenti politici come Maurizio Gasparri di Fratelli d’Italia, avevano espresso critiche nei confronti dell’artista italiano. Al contrario, associazioni e manifestanti pro-Palestina avevano ringraziato l’artista per il suo coraggio.
Alle dichiarazioni di Ghali avevano fatto seguito prese di posizione non solo da parte di esponenti della politica italiana e di rappresentanti della comunità ebraica, ma anche da dirigenti della televisione pubblica. In particolare, l’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, che aveva prontamente ribadito la vicinanza al popolo israeliano, mentre da Milano arrivavano applausi dal presidio in solidarietà con la Palestina. Insomma, la parola genocidio pronunciata fin da subito dall’artista il festival della canzone italiana avevano dunque generato un acceso dibattito pubblico.
Il concetto di genocidio nasce nel pieno della Seconda guerra mondiale grazie al giurista Raphael Lemkin, che coniò il termine per dare un nome alla distruzione sistematica degli ebrei da parte del regime nazista. Questa intuizione trovò poi riconoscimento nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1948, che definisce genocidio qualsiasi atto compiuto con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. La definizione giuridica è molto precisa e si fonda su due elementi essenziali: l’esistenza di atti materiali di sterminio, quali uccisioni, deportazioni, fame forzata o trasferimento di bambini, e soprattutto la prova dell’intenzione specifica (dolus specialis) di annientare un gruppo. Proprio per questa sua rigidità, il termine è stato oggetto di controversie: alcuni studiosi sostengono che debba rimanere circoscritto a casi estremi come l’Olocausto, altri invece lo considerano uno strumento utile a leggere dinamiche di violenza collettiva anche più sfumate e graduali.
Il genocidio è entrato presto nel linguaggio politico e propagandistico anche nel conflitto israelo-palestinese. Da un lato, per Israele, la memoria dell’Olocausto è un elemento identitario fondativo e al tempo stesso una cornice interpretativa che giustifica politiche di difesa e di sicurezza spesso aggressive. Dall’altro, il popolo palestinese ha progressivamente fatto ricorso alla categoria di genocidio per descrivere la propria condizione, a partire dalla Nakba del 1948 fino ai massacri di civili in Libano e a Gaza, che in alcuni casi hanno ricevuto riconoscimenti ufficiali a livello internazionale.
La guerra esplosa dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha riportato il tema al centro del dibattito mondiale. Le operazioni militari israeliane su Gaza hanno causato decine di migliaia di vittime civili, la distruzione quasi totale delle infrastrutture essenziali e un blocco umanitario che ha provocato fame e malattie di massa. A rendere la questione ancora più delicata sono state le dichiarazioni pubbliche di diversi leader israeliani, che hanno parlato di “animali umani” attribuendo a tutta la popolazione palestinese di Gaza la responsabilità degli atti di Hamas. Molti osservatori hanno letto in queste parole e nelle pratiche sul campo un chiaro segnale di intento genocidario, rafforzato dall’uso sistematico della fame come arma di guerra e dalla volontà dichiarata di rendere Gaza invivibile.
Di fronte a questa situazione, istituzioni internazionali come la Corte Internazionale di Giustizia hanno riconosciuto la plausibilità del rischio di genocidio, ordinando a Israele di adottare misure preventive, mentre la Corte Penale Internazionale ha avviato indagini per crimini di guerra e ha emesso mandati d’arresto contro i vertici israeliani. ONG e comunità accademica hanno in gran parte qualificato l’offensiva come un “genocidio in atto”, mentre Israele e i suoi alleati continuano a respingere tali accuse, considerandole motivate politicamente e ribadendo la natura difensiva delle operazioni militari.
In questo quadro, la questione palestinese mostra come il genocidio non sia solo una categoria giuridica, ma anche un terreno di battaglia simbolico e politico. Da un lato, i palestinesi trovano in questa accusa un linguaggio forte per denunciare la propria esperienza di oppressione e marginalizzazione; dall’altro, Israele rivendica la memoria dell’Olocausto per difendere la legittimità delle proprie azioni, trasformando così il concetto di genocidio in un nodo cruciale di legittimazione e delegittimazione reciproca. La difficoltà di stabilire giuridicamente l’intento di distruzione totale non annulla però la percezione, sempre più diffusa a livello globale, che a Gaza siano in corso dinamiche tipiche di un genocidio: dall’uccisione di massa alla fame programmata, dalla distruzione del tessuto sociale alla negazione del futuro stesso della popolazione palestinese.
Cresciuto nel quartiere milanese di Baggio, Ghali Amdouni ha affrontato un’infanzia segnata da difficoltà economiche e dall’assenza del padre. La musica è diventata presto uno strumento di riscatto. Dopo le prime esperienze con i Troupe D’Elite, ha conquistato il successo con brani come Ninna nanna, Cara Italia e Good Times. Il suo percorso discografico comprende album come Album, DNA, Sensazione ultra e Pizza Kebab Vol. 1.
Al Festival di Sanremo 2024, Ghali ha presentato Casa mia, classificatosi quarto e divenuto triplo disco di platino. Nei mesi successivi ha pubblicato singoli come Paprika e Niente panico, entrambi premiati dalle classifiche e dalle certificazioni. Nel 2025 ha proseguito la sua attività musicale con nuove collaborazioni e con il singolo Chill.
Il percorso di Ghali unisce musica e impegno civile. Le sue prese di posizione pubbliche, soprattutto sul tema del conflitto israelo-palestinese, hanno suscitato reazioni forti e contrastanti. Al di là delle polemiche, resta uno degli artisti più ascoltati in Italia, capace di usare il palco non solo per cantare ma anche per esprimere una visione del mondo. Il primo in Italia a parale pubblicamente, dal palco di Sanremo 2024, di genocidio del popolo palestinese. (La redazione)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 5 Ottobre 2025