Con Summer End, il musicista francese Al Sunny firma un album elegante e vellutato che mescola soul, funk e pop in chiave contemporanea. Registrato tra Parigi e il home studio di Florian Pellissier, il disco racconta l’estate che finisce con groove, malinconia e raffinatezza West Coast.
Al Sunny (press photo)
C’è chi saluta l’estate con malinconia, e chi lo fa con stile. Al Sunny appartiene alla seconda categoria. Con Summer End, terzo capitolo della sua discografia, il musicista e cantante francese confeziona un disco che sembra uscito direttamente da un tramonto di inizio settembre: caldo, morbido, leggermente nostalgico, ma con abbastanza groove da evitare la deriva depressiva da pieno autunno.
Registrato nel home studio di Florian Pellissier, compagno di lunga data e tastierista di fiducia, e rifinito a Parigi, Summer End è la perfetta sintesi di ciò che Al Sunny sa fare meglio: un soul-pop intriso di eleganza, con venature funk e quell’inconfondibile tocco “West Coast” che profuma di Steely Dan e Al Jarreau. Ma accanto ai riferimenti vintage si affacciano influssi più moderni — Khruangbin, Tom Misch, persino un’eco dei collettivi come Sault — che impediscono al tutto di suonare come un esercizio di stile.
Il risultato è un suono morbido, con bassi tondi e discreti, chitarre che sanno di sabbia asciutta e sole al tramonto, falsetti vellutati che invitano a rallentare, come ci viene chiesto letteralmente nel brano Take Your Time, una ballata dal groove West Coast e dai synth ipnotici. È il brano manifesto dell’album: sofisticato, senza perdere immediatezza.
In apertura dell’album Why suona come una dichiarazione d’intenti: soul-pop con batterie leggere, linee di basso rotonde e tastiere che disegnano un orizzonte cremoso, come il riflesso del sole sull’acqua. Mentre la traccia eponima Summer End riprende la stessa atmosfera ma con inflessioni più jazz, e la voce di Sunny che galleggia su un tappeto sonoro che trasmette la consapevolezza della fine, senza tristezza, ma con gratitudine.
So Lonely invece affronta il tema della solitudine su un irresistibile beat disco-funk costruito su un basso elettrico che pulsa con eleganza e un intreccio di synth pad. È uno dei momenti più riusciti del disco, perché riesce a unire introspezione e groove, nostalgia e movimento, come se la notte servisse a pensare ma anche a muoversi un po’ per non pensare troppo.
In Drinking Too Much, invece, Al Sunny cambia registro ma resta nello stesso universo emotivo: il ritmo rallenta, i synth diventano più liquidi e psichedelici, e lui racconta di una fuga nel comfort del bicchiere e della musica. È il lato più urbano e notturno del disco, dove il soul elegante incontra sfumature city-pop anni 80 e soft funk.
Il sipario cala con Feeling’s Gone Away, dove Sunny abbandona le tinte funky per un tono più contemplativo, sospeso tra soft rock e soul atmosferico, dove i synth eterei si intrecciano con chitarre pulite e linee di basso appena accennate. È una conclusione dolce e cinematica, quasi una coda emotiva più che una semplice canzone, che riassume tutto lo spirito dell’album: l’eleganza nel lasciar andare.
Con Summer End, Al Sunny firma il suo lavoro più maturo e coerente: un piccolo gioiello di soul contemporaneo, funk raffinato e pop levigato, dove i synth diventano protagonisti emotivi tanto quanto la voce. È un disco che non cerca di stupire, ma di restare, come il profumo salato che rimane sulla pelle dopo l’ultimo bagno. (Adaja Inira)
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