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Equipe 84 – ID, 1970 (recensione)

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La prima voce che si sente sul disco che inaugura gli anni Settanta per il miglior gruppo beat italiano non è una voce dell’Equipe. Non come la avevamo conosciuta fino ad allora, perlomeno. Era successo che Alfio Cantarella, il “chico” di Biancavilla che aveva da sempre occupato il posto alle spalle di Vandelli, Ceccarelli e Sogliano era stato beccato con seicento grammi di hashish facendo naufragare l’immagine del gruppo, messo alle porte dalla RAI e alla berlina dal Radiocorriere TV. Finalmente i mass media avevano trovato il modo per gettare fango sui capelloni e dimostrare che in fondo avevano ragione quando li avevano etichettati come un branco di drogati. Franco Ceccarelli sente, più che profumo di erba, puzza di merda e molla qualche mese dopo l’arresto di Cantarella. Sogliani e Vandelli però resistono. E cambiano pelle e carne. Le nuove reclute sono Mario Totano dei Dik Dik, il chitarrista di Morandi Giuliano Illiani e Franz Di Cioccio. È sua la voce che schiude le porte di ID (Imola-Domodossola), l’album che apre l’Equipe 84 al progressive trascinandosi dietro buona parte dei gruppi beat dell’ epoca. Si avverte lo sforzo di Vandelli (per la prima volta autore di tutte le tracce), perlopiù incompiuto, di superare i limiti della canzonetta e di affrontare temi scomodi come, appunto, quello della droga. C’è per la prima volta una progettualità che supera i limiti commerciali del singolo di successo. Non solo l’album viene concepito come un corpo unico e coeso e non come una semplice raccolta di successi ma addirittura dal disco non viene estratto nessun 45 giri, ribaltando la prassi comune di quegli anni. Concettualmente, siamo al tramonto definitivo del juke-box e del mangiadischi da spiaggia. Sono arrivati gli anni Settanta, bambini. Nonostante il coraggio esibito, ID non è affatto un capolavoro. È un disco pesante che non riesce a volare. Si porta sulla rampa di lancio e resta con imbarazzo schiacciato sull’asfalto, a dispetto dell’abilità mostrata dai piloti. Certe ingenuità come quelle di Padre e Figlio, Il Re dei Re o dei titoli di coda non aiutano a far fermentare il lievito distribuito sul disco e ID, nonostante l’ impegno profuso, manca il bersaglio. La nuova expanded edition si fa carico di analizzare il percorso creativo dell’Equipe 84 attraverso le undici composizioni più o meno autoctone (in realtà parte del materiale è scritto da Lucio Battisti o a quattro mani da Vandelli e Guccini) che la band aveva inserito sui due album precedenti Io ho in mente te e Stereoequipe. Piccoli capolavori di folk acido come Auschwitz e 29 Settembre che allora tutto il mondo ci invidiava, come la Vespa e la 500. Gli anni in cui si riusciva non solo a dormire, ma pure a sognare. E a costruirci una casa, sopra quel sogno. (Franco Dimauro)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 6 Novembre 2013

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