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L’irriverenza dei Jukebox all’Idroscalo (intervista)


“Irriverenti” credo sia questa la parola giusta o quantomeno la migliore utilizzabile ora. Il bel pop italiano intriso di funky digitale che nei lineamenti melodici vuole ricordare quel sapore anni ’50 e ’60 di un’Italia in pieno boom economico. Forse tra i primi simboli di questa rinascita dalla grande guerra, sono anche le ferie, il mare, la vita balneare lontano dalle grandi città. E il duo laziale lo raffigura bene, Idroscalo di Ostia, quel Allen Ginsberg che aleggia in ogni dove, mood pasoliniano e quotidianità che si racconta con leggerezza e ironia. Il singolo di lancio si intitola “Vertigine” ed è una canzone d’amore con una chitarra che fa il suo dovere, una voce che quasi si prende gioco di un certo modo di cantare il pop italiano e tutto il resto è mantecato di struttura digitale. In radio semina consensi e noi di Muicletter non potevamo sottrarci al dovere di cronaca. L’intervista con Marco De Annuntiis e Alessio Righi, ovvero i Jukebox all’Idroscalo.

Intervista ai Jukebox all’Idroscalo di Alessandro Riva

Jukebox all’Idroscalo nella scena Indie oggi. Che senso ha secondo voi far ancora questo mestiere?
(Marco) – Cazzo, che domanda scoraggiante! è dura, ma del resto lo è per tutti. Mia madre voleva tanto che io mi laureassi perché pensava che fare il cantante fosse troppo difficile, alla fine meno male che canto perché con la laurea in lettere ci avrò fatto tre settimane di supplenza in vita mia.

(Alessio) – Inutile dire che il lavoro è molto cambiato, all’inizio ci dicevamo “magari aver vissuto all’epoca in cui i dischi si vendevano”, ma siamo orgogliosi di quello che facciamo, non faremmo il cambio non nessun’altra band.

Che linguaggio ha preso oggi la musica?
(Marco) – Molti linguaggi. Sono finiti i tempi in cui una tendenza dominante poteva imprimere ad un’epoca la sua identità.

(Alessio) – Ci si divide in settori impermeabili, che non comunicano tra loro: il pop, il rap, i talent-show, e poi realtà molto specialistiche come il jazz, il metal, il rockabilly, che sono chiusi nei loro circuiti ma fanno numeri.

La vostra produzione di sicuro è figlia del lo-fi digitale a cui attingono praticamente tutti. Dal vostro punto di vista? Che musica avete prodotto?
(Marco) – Al “Lo-Fi” non è che si attinge, tutti ci si indirizzano, a partire dal fatto che dicono “tanto nessuno oggi ascolterà più musica su un impianto Hi-Fi”: e il bello è che in fondo hanno anche ragione, nelle case degli italiani mediamente ci sono televisori della madonna ed impianti stereo di merda. Lavorare in digitale, affidarsi a una distribuzione “indie” oggi non sono più scelte, non un’alternativa… è semplicemente il modo in cui oggi sono tutti costretti a lavorare, anche i big del passato che di colpo si sono ritrovati senza il sostegno delle loro major.

(Alessio) – La nostra è una commistione tra tecnologie analogiche e digitali. C’è chi si ostina a registrare su nastro e dichiarano guerra al download e allo streaming, come per esempio ha dichiarato Neil Young pochi giorni fa, ma è la battaglia di poche vecchie glorie che possono permettersi il vezzo di condurla. Noi utilizziamo synth digitali insieme a strumenti antichi come amplificatori Vox e organi Farfisa, ci teniamo a dirlo perché spesso strumenti del genere si usano solo per fare look ma non necessariamente vengono utilizzati davvero.

Oggi un singolo che sta ben girando in radio. Domani?
(Marco) – Stiamo preparando un album intero, che uscirà verso ottobre.

(Alessio) – Una volta che il disco sarà pronto, puntiamo a fare concerti più spesso: dal vivo rendiamo molto di più.

È stata la musica a creare il duo oppure il contrario?
(Marco) – Il contrario: ci conosciamo da adolescenti, abbiamo suonato insieme nei primi gruppi….Poi ci siamo persi di vista e abbiamo fatto esperienze diverse, finché ci siamo ritrovati e abbiamo iniziato a scrivere insieme.

(Alessio) – La prima canzone che abbiamo scritto insieme poteva anche essere riuscita per caso: ma dopo aver scritto la seconda ci siamo resi conto che non dovevamo mollarci più.

Il vostro progetto tra le righe di Luigi Piergiovanni. Com’è stato lavorare assieme?
(Alessio) – Molto facile e, a parte quando ci si incaglia per un disaccordo, sorprendentemente veloce. Lui ha le idee molto chiare, noi pure: più che lavorare insieme, confrontiamo il lavoro che ognuno ha fatto per conto suo.

(Marco) – Il produttore discografico medio del mercato indie è il tipo che dichiara che il suo disco preferito è il primo dei Velvet Undergroung, ma poi se riceve un disco di quella qualità lo frulla dalla finestra senza nemmeno aver finito di ascoltarlo: se sei “al di fuori” degli standard automaticamente ne sei “al di sotto”. Luigi invece ha trovato un potenziale nel nostro demo, edè riuscito a darci un certo sound senza travisare la nostra identità.


MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 24 Luglio 2015

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