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Recensione: The Jesus and Mary Chain – Psychocandy (1985)

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Nella nostra vita da musicofili sarà capitato almeno una volta di ascoltare Psychocandy. Questo album è la sintesi di vent’anni di musica rock psichedelica e punk, mescolati in ambienti cupi e allucinati. Tra i punti di forza del disco c’è la capacità di stravolgere un periodo musicale con semplicità, con poca tecnica e con la potenza estrema di un feedback di chitarra, vero e proprio marchio di fabbrica. Dovessimo anacronisticamente individuare un punto cruciale del rock, il 1985 e Psychocandy, risultano essere il momento topico di uno stravolgimento musicale ma soprattutto culturale.

Un lavoro discografico che racchiude la ribellione di un ventennio con lo sguardo anticipatore verso un mondo da lì a poco stravolto e cambiato in usi e costumi. Un muro sonoro che ha saputo mescolare la potenza hardcore di Hüsker Dü, Minor Threat e Germs con il punk di Sex Pistols e Damned e persino con qualcosa di Syd Barrett e Velvet Underground, e che ha reso Psychocandy la pietra miliare degli anni ‘80.

Il potere dei Jesus and Mary Chain non è solo musicale, ma tende ad abbracciare una sfera culturale più ampia e dilatata di quello che in sostanza lascia l’album stesso e pervade l’animo di chi suona. Perché suonare su un palco significa abbattere le distanze con lo spettatore, fondendosi in un alchemico e talvolta perverso rapporto di vicinanza. L’approccio garage rock vede quindi un nuovo sbocco: l’eleganza darkwave in un continuo e lento tourbillon di suoni che provocano una piacevole apnea. Pochi album risulteranno seminali come Psychocandy, nessun shoegazer dal 1985 a oggi avrebbe così tanto giocato con feedback e riverberi senza questo capolavoro. Ma soprattutto, la nostra vita musicale non sarebbe mai stata la stessa. Trent’anni di Psychocandy, lunga vita al feedback e al nichilismo. (Giovanni Aragona)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 19 Novembre 2015

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