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Recensione: Five Thirty – Bed (1991)

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Una volta attenuato il cono d’ombra degli Smiths che aveva oscurato Manchester per cinque formidabili anni, la città inglese è pronta per rimettersi a nuovo e sfoggiare una nuova rosa di nomi e un suono che, seppur debitore agli Smiths, occhieggia al dancefloor. La malinconia inglese si colora e spinge il bottone del ritmo. E, come nei migliori acquazzoni, finita la pioggia vengono fuori le chiocciole. Sono dischi come Technique, The Stone Roses, Bummed, Some Friendly con i loro incroci tra disco-culture, funk e guitar pop, a imporre il nuovo trend su tutta la Gran Bretagna. È la nascita di ciò che viene etichettato come “baggy”: ritmi grassi che scoppiano attorno a un suono brit-oriented che continua a guardare ai Beatles, agli Who e ai Jam come propri maestri. È la rivincita di Manchester su Manchester, anche se a firmare il disco destinato ad entrare nella storia ci penseranno gli scozzesi Primal Scream, nel 1991. Lo stesso anno del debutto a trentatré giri dei Five Thirty, da Oxford. Partiti in sordina ben sei anni prima, con un singolo indipendente subito silurato dalla critica (del resto, in pieno fenomeno Smiths, nessuno ha bisogno di trovare sostituti, NdA), per i Five Thirty il vento cambia rapidamente una volta che è la East/West a interessarsi al loro suono ibrido. Da quel momento, in uno spasmodico susseguirsi di singoli (Abstain, Air Conditioned Nightmare, 13th Disciple, Supernova), la stampa cambia atteggiamento nei confronti del terzetto londinese, spingendo la band e influenzando l’umore del pubblico finendo per fare dei Five Thirty delle icone della nuova scena mod e incensare Bed, l’album che viene pubblicato il 19 agosto del 1991, più di quanto in realtà meriti. Il disco è ben sintonizzato sulle frequenze della musica inglese di quei primi scorci degli anni Novanta, che sono quelli della Madchester di cui parlavo in apertura: piccole tempeste chitarristiche su cui di tanto in tanto pare alzarsi qualche uragano funk sollevato dalla chitarra di Paul Bassett e da qualche azzardo ritmico che vorrebbe emulare le gesta di Sly and The Family Stone o della Experience (13th Disciple e Songs and Paintings i primi episodi che mi vengono in mente), dissimulata da una mai taciuta devozione verso band come Jam e Stranglers e verso il soul di marca Stax. In realtà Bed, registrato nello stesso studio da cui era venuto fuori l’anno precedente Some Friendly dei Charlatans, non è affatto un esordio perfetto. La miscela musicale del gruppo, nonostante il pressante collaudo, rimane incombusta, incapace di omogeneizzare il lato diretto del gruppo (quello che in questa reissue emerge dalle sessions per Radio One) con quello più concettuale ed elaborato che li vede armeggiare, malamente, con drum-loops, sampling e overdubs. Il successo del disco sprona la band a voler dar sfogo ad altre ambizioni, come quella di contattare Phil Spector per la produzione di Another Fresh Corpe, il secondo album annunciato prima del Natale dello stesso anno assieme alla pubblicazione di un EP intitolato Alestair Crowley’s Door. I progetti invece naufragheranno in un nulla di fatto e quel che rimane di quelle registrazioni è ora qui a fare la coda alla lunga sfilata di canzoni di questa corposa ristampa: sei canzoni che, seppure in maniera primitiva (o forse, a mio avviso, proprio per questa urgenza che le rende così fottutamente vicine allo spirito degli Undertones) mettono in mostra dei Five Thirty decisamente più convincenti, soprattutto in pezzi come Apple Something, Barbie Ferrari e nella kinksiana She‘s got it bad. Qui dentro c’è tutto quel che resta di loro. Fa buio presto a Londra. E partire alle cinque e mezza era già di per sé un azzardo. (Franco Dimauro)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 14 Dicembre 2013

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