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(Ri)visti in TV: La Cinese di Jean-Luc Godard (1967)

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In un bell’appartamento parigino, all’evidenza borghese, prestato per il periodo estivo dai genitori ai figli e ai loro amici, vivono la studentessa di filosofia Veronique, l’attore teatrale Guillaume, il silenzioso pittore Kirilov, il chimico-matematico Henry e Yvonne, una ragazza di estrazione proletaria, occasionalmente prostituta. Nell’alloggio, ovunque disseminato da slogan di natura politica (sulle mura, sulle lavagne) e letteralmente inondato dalle copie del libretto rosso di Mao (sugli scaffali delle librerie o in mucchi affastellati), compare (brevemenet) il compagno X, lo studente di colore Omar (l’allegoria figurata dell’americano Malcom X ?). Sono i componenti della cellula marxista-leninista denominata “Aden Arabie”, d’ispirazione, però, radicalmente maoista, impegnati nell’elaborazione teorica di ideologie estremiste. La vita della casa, però, è anche il palcoscenico di gags pseudo-satiriche recitate da Guillaume e Yvonne il cui bersaglio è rappresentato dalla politica imperialistica degli Stati Uniti. Il gruppo, alla fine, assume la decisione di organizzare un attentato contro il Ministro della Cultura dell’Unione Sovietica in visita ufficiale a Parigi. La preparazione dell’evento terroristico determina, però, una serie di avvenimenti altrettanto estremi: Henry viene cacciato dal collettivo, accusato di revisionismo (difende la validità del film Nicholas Ray, Johnny Guitar, che, in quanto americano per gli altri dovrebbe essere rinnegato a prescindere) approderà alla sinistra istituzionale, Veronique dichiara di non amare più Guillame (non può avere spazio per i sentimenti perchè impegnata nella rivolta maoista) e Kirilov, precipitato in un vortice di follia, si suicida al pari dell’omonimo personaggio de “I demoni” di Dostoevskij. In un lungo (e celebre) piano sequenza vediamo Veronique – sta raggiungendo l’albergo dove soggiorna il Ministro sovietico per mettere in atto il disegno criminale – discutere animatamente sull’uso politico della violenza per scopi rivoluzionari con lo scrittore e filosofo francese Francis Jeanson, già sostenitore della guerra d’indipendenza dell’Algeria, studioso e amico di Albert Camus e di Jean-Paul Sartre. Ogni tentativo di dissuasione da parte dell’eminente intellettuale sarà inutile. La ragazza, addirittura, commetterà un duplice omicidio: prima di assassinare il politico russo, infatti, aveva ucciso per sbaglio un innocente invertendo il numero delle stanze d’albergo. Le vicende volgono, ormai, al termine: l’estate si sta lentamente spegnendo, gli adulti ritorneranno a breve dalle vacanze, impossessandosi nuovamente della casa, il collettivo di fatto non esiste più e le stesse incrollabili certezze che ne avevano improntato le azioni si stanno progressivamente sfaldando. La sola Yvonne sembra aver acquisito una coscienza politica e s’impegna a diffondere il giornale del gruppo. Su Veronique, chiusa nell’abitazione, quasi ripegata su se stessa, consapevole che gli atti compiuti sono solo i primi passi di un lungo cammino, incombono dubbi sempre più pesanti e, con essi, lo spettro d’una futura vita borghese. La Cinese (1967) costituisce per Jean-Luc Godard l’inizio degli “anni Mao”, venuti dopo gli “anni Cahiers” e gli “anni Karina”, secondo una periodizzazione indicata dallo stesso autore, e rappresenta certamente un film fondamentale nella produzione del regista francese. Il più ermetico e intellettuale dei componenti della “nouvelle vague”, il cui dichiarato intento era stato sin dalle prime opere quello di fare critica (e politica) filmata, puntando ad una contestazione delle forme consuete del cinema, reinventandosi in ogni suo film, porta all’eccesso con La Cinese tutte queste istanze grazie a procedimenti metacinematografici ancor più esibiti. Questo film – in corso di lavorazione come dice la didascalia iniziale – è in primis un’analisi impietosa dei radicalismi di alcuni gruppi della nuova sinistra: nonostante in quel preciso momento storico Godard sia dichiaratamente marxista e, quindi, nutra simpatie per l’ideologia comunista, è del tutto evidente come l’opera sottolinei non solo la pericolosa deriva terroristica che quei massimalismi sottendono ma anche il velletarismo sterile degli stessi comportamenti e, pertanto, la sostanziale impossibilità – al di là del clamore della violenza – che possano incidere per davvero e determinare un cambiamento profondo rischiando, al contario, un’azione altrettanto repressiva e giustificata delle istituzioni e la definitiva assimilazione della borghesia capitalistica. Al netto, però, dell’impegno politico – che Godard mette in risalto disseminando il film con i simboli stessi della rivoluzione culturale maoista: il libretto rosso sempre esibito – e dei dubbi sulla congruità della lotta militante, La Cinese rappresenta una riflessione straordinaria sul linguaggio cinematografico e un tentativo del suo rinnovamento. Celebre per aver imposto con le sue opere precedenti una sintassi visiva inaudita che spezzava l’andamento tradizionalmente fluido delle scene, Godard spinge sull’accelleratore del cambiamento apportando sorprendenti novità stilistiche. Il montaggio di tipo ejzenstejniano rovescia completamente le norme accademiche con stacchi netti, falsi raccordi, immagini brevi ed ellittiche che combinano alla rinfusa aspetti eterogenei dell’industria culturale contemporanea (libri e fumetti, fotografie di personaggi famosi e pubblicità dozzinale) imprimendo al flusso visivo un andamento nervoso e frastagliato. L’introduzione di cartelli esplicativi, la combinazione di colori primari a tinte sature alla maniera della pop art warholiana, l’impiego di modellini di armi giocattolo (al pari dei manifesti) per calare nella messa in scena la guerra del Vietnam, le interviste ai personaggi che sono anche interviste all’attore (Godard li fa recitare guidandoli con l’auricolare) modellate sugli schemi del cinema-verità (e, infatti, viene spesso mostrato l’operatore Raul Coutard che effettua le riprese con la cinepresa mobilissima manovrata a spalla). Tutto lo strabiliante – e straniante – apparato cinematografico messo in campo da Godard fanno di “La Cinese” un work in progress aperto e destrutturato, un film-saggio che è lo sforzo immane del suo autore di ri-costruire, attraverso nuove forme, un nuovo linguaggio filmico che restituisca alle immagini la perduta capacità di significazione. Un’opera, quindi, che per tutte queste ragioni, costituisce uno spartiacque storico nella filmografia di questo grandissimo autore. (Nicola Pice)


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