«Discorsi sulla musica» con Wrongonyou

Per questo undicesimo incontro, abbiamo intervistato il cantautore Wrongonyou.

Riprende con il musicista e cantautore Marco Zitelli (alias Wrongonyou) la nostra rubrica dal titolo Discorsi sulla musica, curata come sempre da Luca D’Ambrosio. Buona lettura. (La redazione)

«Discorsi sulla musica» con Wrongonyou © di Luca D’Ambrosio

Wrongonyou (ph. Alessandro Treves)

Qual è stato il momento preciso in cui hai deciso di dedicare la tua vita alla musica?

Qualche anno fa facevo la guida nei musei mentre studiavo storia dell’arte. Poi un gruppo funk mi ha chiesto di partire per una tournée americana nel ruolo di chitarrista. Passando svariati mesi in America ho scoperto che esisteva una realtà dove chi faceva il cantante come lavoro non era per forza famoso, ma comunque riusciva a sostentarsi. Mi sono chiesto perché non farlo anche io in Italia. Da lì ho intrapreso la mia carriera musicale.

Quali sono state le difficoltà iniziali?

Accettare di non riuscire a pagare subito un affitto da solo (ndr, ride). A parte gli scherzi, essere manager di se stessi, quando all’inizio non se ne ha uno vero e proprio, non è facile: bisogna trovarsi da soli ingaggi per concerti, persone che collaborino al progetto… Bisogna entrare in quel mondo che è l’industria musicale che inizialmente non conoscevo. Oltre a questo, far capire a mia madre che volevo fare questo lavoro non è stato facile!

Qual è la cosa più bella che ricordi dei tuoi inizi?

La cosa che più mi ha rincuorato in quel periodo sono stati i messaggi su Facebook delle persone che mi ringraziavano per essersi emozionate ai miei primi concerti, dove massimo c’erano 20/30 persone.

Oggi, invece, quali sono le principali difficoltà per chi come te fa musica?

Covid a parte, sicuramente restare “su”, sulla cresta dell’onda. Visto il riciclo degli artisti che va ad una velocità senza senso. Trovo assurdo che un disco dopo 6 mesi venga considerato già vecchio. C’è una continua produzione di nuova musica come sappiamo, e credo che questa assomigli a una catena di montaggio. C’è il rischio di perdere il vero senso del fare musica.

Pensi che in questo particolare momento storico ci sia un approccio culturale differente tra un artista affermato e uno che sta muovendo i primi passi?

Probabilmente la differenza è poca. Purtroppo il valore dei numeri ha oscurato i valori culturali centrali per chi fa musica. Troppo spesso mi capita che ragazzi molto giovani, che stanno muovendo i primi passi nella musica, mi chiedano come prima cosa quante visualizzazioni o stream abbia fatto dopo Sanremo. Questo la dice lunga. Gli affermati invece si dividono tra chi si concentra sempre più sui numeri, autocompiacendosi, e chi cerca sempre qualcosa di nuovo e di spessore.

C’è invece qualcosa di positivo nel fare musica in questi anni ’20 del terzo millennio?

La cosa positiva è che può nascere una stella senza dover superare delle barriere che esistevano prima nell’industria, producendo musica nella propria cameretta. Ovviamente saranno alcuni casi isolati all’interno di un grande sovraffollamento di meteore.

Quanto sei “social” e “tecnologico”?

Poco. Vado molto in conflitto sia con me stesso che con i social. I like e le visualizzazioni spesso superano l’importanza del messaggio che si vuole comunicare. Per questo ho un rapporto conflittuale come molti altri colleghi. La tecnologia che mi interessa è quella degli strumenti musicali e delle loro innovazioni.

Una domanda da 100 milioni di dollari. Che cos’è la musica?

La musica, per me, è vita.

Quali sono stati gli artisti e/o i dischi principali che in qualche modo ti hanno influenzato?

“Shadows Collide With People” di John Frusciante (2004, Warner Bros) è stato il disco che ha cambiato il mio modo di vedere la musica. Il suo saltare a piedi pari le strutture musicali. John Frusciante invece che scrivere la musica con le note la scriveva con i colori. Questo mi ha fatto capire quanto fosse fondamentale la libertà artistica nello scrivere canzoni. In più da ex metallaro che ero, questo disco mi ha aperto anche verso ascolti diversi, verso discografie di cantautori che ora sono fonte di ispirazione per me.

Quanto sono importanti nella vita, così come nell’arte, la curiosità e l’assenza di pregiudizio?

La curiosità serve a smuovere la ricerca musicale, quindi direi che è imprescindibile. L’assenza di pregiudizio, nella musica soprattutto, la vedo come un’utopia, perché è proprio vero che “chi disprezza compra”.

Nella musica, sia per chi la fa e sia per chi la critica, c’è qualcosa che non sopporti?

Avendo vinto il Premio della Critica Mia Martini nella categoria “Nuove Proposte” di Sanremo 2021 non posso lamentarmi della critica (ndr, ride). Ho un ottimo rapporto con i giornalisti. Trovo che chi critica con cognizione di causa faccia un lavoro importante: mettere sotto una certa luce degli artisti interessanti, e raccontare la nascita di nuovi.

Il tuo genere musicale preferito assoluto?

Se devo dare una risposta univoca direi folk, ma in generale qualsiasi canzone che mi emozioni.

Un disco che hai realizzato e che consiglieresti a chi non ancora non ti conosce.

“Sono Io”, il mio ultimo disco, che forse è quello che mi racconta in maniera più veritiera. Consiglierei a tutti di recuperarselo. È il modo più diretto per conoscermi come artista.

Parliamo invece di una cosa davvero difficile da spiegare. Secondo te, come si raggiunge una propria identità artistica, al punto da essere riconosciuta e apprezzata da un determinato pubblico?

Trovare un’identità artistica calzante è tra le cose più difficili per un artista. Basti pensare che alcuni artisti vengono identificati con qualcosa di molto lontano da ciò che sono davvero. Io credo ci vogliano coerenza, dedizione, disciplina e soprattutto sincerità nei confronti di sé stessi e del pubblico. Pensate al suono di chitarra di Carlos Santana.

L’artista ha bisogno di continue conferme da parte della stampa e della propria comunità?

L’ego dell’artista ne ha certamente bisogno, sarei ipocrita ad affermare il contrario.

Tu sei un personaggio pubblico. Meglio essere sempre presenti o sparire per un po’?

Nel mio caso è importante essere molto presenti. È facile cadere nel “dimenticatoio”. Nel momento in cui diventerò un “big”, se dovesse mai accadere, avrò la possibilità di sparire per un po’.

È pressoché indubbio che anche la vita artistica sia segnata da compromessi. Cosa però l’artista non dovrebbe accettare mai?

Credo che l’importante sia non snaturarsi troppo: un artista non dovrebbe sottostare a dinamiche che gli impongano una direzione artistica pensata per trasformarlo in qualcosa che non è.

Hai mai pensato di smettere?

Ammetto che mi capita di avere momenti di grande sconforto. A volte anche prima di un concerto. Ma nel momento in cui metto la bocca sul microfono realizzo che non riuscirei a fare un lavoro diverso da questo. In pratica la musica mi provoca sconforto ma poi è anche la mia terapia.

C’è un sogno, un’idea che invece vorresti realizzare?

Cantare mi ha già fatto realizzare alcuni sogni. Ne rimangono altrettanti che possono essere: collaborare coi miei artisti preferiti (come Frusciante o Bon Iver), piuttosto che con altri grandi della musica italiana, sarebbe come mettere la ciliegina sulla torta.

Dove sta andando la musica?

La musica va guidata, non penso vada da sola. Diciamo che dovremmo provare tutti noi, come pubblico, a portarla in un’altra direzione.

La Pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova l’intera umanità. Come l’hai vissuta da essere umano e soprattutto da artista. Mi racconti qualcosa?

Il lockdown mi ha salvato la vita: mi ha fatto rendere conto delle persone da cui ero circondato e quindi l’importanza di alcuni e la necessità di allontanarmi da altri. In più mi ha permesso di mettere a fuoco in maniera più oggettiva il binario su cui stavo viaggiando, artisticamente parlando, aiutandomi a correggere il tiro su alcuni aspetti del mio songwriting.

Perché hai deciso di rispondere a queste domande?

Perché volevo dare il mio contributo e ho trovato le domande interessanti e diverse da quelle che mi fanno comunemente. Grazie Luca!

Wrongonyou

(Articolo coperto da copyright. Per informazioni, contattare l’editore di questo blog.)

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