I Cani – Il Sorprendente Album D’Esordio Dei Cani (2011)

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Il Sorprendente Album D’Esordio Dei Cani” avrebbe potuto essere sotto intitolato “fenomenologia di un successo”. Infatti, l’accoglienza positiva della gran parte delle riviste specializzate, l’ottimo riscontro commerciale (top ten nella classifica digitale di i-tunes conquistata da un disco fondamentalmente “indie” che non si rivolge direttamente al grande pubblico) e, in particolare, l’interesse sempre crescente della galassia internettiana per la band (o meglio per il suo leader maximo, dj romano, esponente della scena electro, già impegnato in altri progetti) rimandano d’emblée alle motivazioni che determinano la realizzazione di un’opera musicalmente fortunata. Motivazioni che affascinano da sempre chi vi scrive e che, comunque, risultano difficilmente prevedibili e non immediatamente legate da un nesso di causa – effetto. Senza alcun dubbio ha giovato al disco la lunga attesa per la sua pubblicazione (all’incirca un anno) sviluppatasi tra la seconda metà del 2010 e la prima parte del 2011 dopo la diffusione “en plein air” del trascinante sarcasmo synth-poppeggiante de “I Pariolini di diciott’anni” – rappresentazione di tutti quei simboli che codificano in negativo lo status d’una determinata, benestante classe sociale romana – e, fino alla sua uscita definitiva, sempre più crescente prima con lo speranzoso vagheggiamento di mondi immaginari in “Wes Anderson”, poi con le malinconiche rimembranze melodiche de “Il Pranzo di Santo Stefano” e, infine, con l’impietosa “Velleità”, declamazione electro-punk della “volontà di im-potenza” dell’universo indie-alternativo, prigioniero di improduttivi ed autoreferenziali clichè. La cadenza centellinata delle anticipazioni dei brani, astuta strategia di marketing e meccanismo fondamentale per il lancio e la promozione di un evento artistico, non è sufficiente, però, a spiegare la condizione – oramai – di culto raggiunta in questi mesi da “Il Sorprendente Album D’Esordio Dei Cani”. Il segreto, piuttosto, è attribuibile alla capacità del suo autore di saper analizzare con i testi che compongono l’opera la realtà di un mondo, quello giovanile, confuso, anaffettivo, “puntillistico” come direbbe Zygmunt Bauman, frammentato, cioè, in una pluralità di particelle separate, che si riconosce soltanto nei trend modaioli – diventati veri e propri collanti consumistici generazionali – e che, dunque, non riesce a costruire la propria identitità, rimanendo avviluppato nell’effimero. Il disco, ovviamente, è lontano anni luce da qualsiasi pretesa sociologica essendo abbondantemente cosparso da un’acre ironia (sin già nel titolo) e da un profondo disincanto che allontanano con fermezza qualsiasi tentativo di snobismo moraleggiante come si sarebbe portati a credere ad un ascolto superficiale. Al contrario, ciò che impedisce a “Il Sorprendente Album D’Esordio Dei Cani” d’essere semplicemente una banale elencazione di luoghi comuni, una rappresentazione bozzettistica ed inautentica della realtà, è proprio l’appartenenza del suo autore ad un mondo che da lui viene descritto con una sincerità tale, anzi, da rendere i personaggi protagonisti dei brani icastici, icone perfette, quindi, della condizione giovanile contemporanea. Dunque, sembrerebbe – si parva licet componere magnis – che il disco condivida l’idea che, ad esempio, permeava tutta la “nouvelle vague”: il microcosmo racchiuso in una storia piccola permette non solo di sviluppare la propria idea della vita ma è esemplificativo, soprattutto, di un macrocosmo più universale. La veste sonora de “Il Sorprendente Album D’Esordio Dei Cani” affonda le sue radici – ça va sans dire – nell’electro-pop degli anni ’80 e costituisce, pertanto, nella sua scarna e ripetitiva semplicità, lo strumento più appropriato a veicolare le sapide istantanee che ci regalano i brani: le tastierine catchy che contrappuntano il “vacuum” esistenziale di “Hipsteria” – il vuoto kierkegaardiano sulle risorse interiori, sulla possibilità effettiva, cioè, di incidere sulla propria vita al di là di sterili desiderata – potrebbero essere, in questo senso, il manifesto sonoro (o il rimando ideale) dell’intero disco. Il precedente malinconico opening-act strumentale di “Theme from the Cameretta” (significativo quanto sarcastico riferimento al “privilegiato” punto d’osservazione della realtà dell’autore), pur nella sua brevità, invece, ne definirebbe la filosofia ritmica lo-fi: rumorismo infarcito da suoni in loop, sostenuto da una drum-machine che regala in qualche circostanza (l’amarissima “Post Punk”) robuste accelerazioni per defilarsi, poi, in altre occasioni più melodiche (il gustoso vignettismo de “Le Coppie”). Tra spericolate provocazioni (osare l’inosabile: far convivere gli 883 di “Door Selection” con i Joy Division di “Isolation”… miracoli dell’electro) ed interessanti sperimentazioni (l’invettiva di “Perdona e Dimentica” in cui vengono seppelliti i miti d’una certa sinistra) “I Cani” confezionano, dunque, un’originale riflessione musicale sulla fondatezza e, allo stesso tempo, sull’inconsistenza dei miti e dei bisogni della gioventù contemporanea e, soprattutto, sul suo anelito ad una felicità che non sembra affidata ad alcun progetto coerente (troppo precaria, infatti, pare la vita ai tempi della “modernità liquida”) e che rimane, pertanto, un desiderio insoddisfatto, un’emanazione dell’inconscio purtroppo non realizzabile, una costruzione fantastica che come tale è possibile, quindi, soltanto in un mondo immaginario (come quello cinematografico di “Wes Anderson”). La vaga speranza in un “altro quando” indefinibile è, dunque, la “weltanschauung” de “Il Sorprendente Album D’Esordio Dei Cani”… quella che esprime, alla stessa maniera, un’intera generazione di giovani. (Nicola Pice)

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