Recensione: Motörhead – Overkill (1979)

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Phil Taylor si siede sullo sgabello, in attesa che Lemmy ed Eddie arrivino in studio, fedeli al loro ritardo. Ha appena montato una seconda cassa alla sua batteria. Accende una sigaretta, la poggia al bordo del timpano, avvicina lo sgabello, mette i piedi sui due pedali. E comincia a correre. Veloce. Sempre più veloce. Eddie e Lemmy arrivano portando sei bottiglie di Jack Daniel’s. Danno un sorso inaugurale brindando alla salute di Phil. Poi accendono gli ampli e imbracciano gli strumenti e cominciano a correre. Pure loro. Al passo folle dell’amico.

È così che nasce Overkill, il pezzo che trasforma i Motörhead nella devastante e feroce macchina da guerra che tutti impareremo a riconoscere all’orizzonte, anche con gli occhi bruciati dalla polvere e dal fumo. A tenerle compagnia, sull’album cui offre il nome, altri nove brani. Nessuno altrettanto veloce, nonostante l’inganno che introduce Capricorn. Ma tutte altrettanto sature di odori penetranti di alcol e di bagni sbrodolanti. Quando riaprono la porta dei Rondhouse Studios, con le pareti che vomitano tabacco e whisky, è l’alba dello speed metal. Lemmy sorride, sornione e beffardo, raschiandosi i porri con i calli della sua mano sinistra. Ha già ingannato la Bronze spacciandole Louie Louie per un pezzo heavy metal. Di quegli idioti là fuori che stanno cercano un nome nuovo da dare al suo rock ‘n’ roll non sa cosa farsene. Il rock ‘n’ Roll non meriterebbe il nome che ha, se non te lo facesse duro. Non sprecarlo. Tienine sempre una buona riserva per te. Comunque, sempre più di quanto ne sia necessario. (Franco Dimauro)



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