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Electric Peace – Greatest Hits (1981-1985) | Recensione

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Confezione e reperibilità sono abbastanza approssimative per considerarla un’uscita ufficiale ma questa raccolta assemblata personalmente da Brian Kild che degli Electric Peace fu fondatore e unico membro stabile (seppure “stabile” sia uno degli aggettivi più inappropriati quando si parla della leggendaria formazione californiana) è la prima e unica testimonianza del suo gruppo fruibile su supporto digitale e viene pubblicata a quasi trent’anni dalla fine di quell’avventura.

Il che mi fa riflettere sul fatto che molto verosimilmente un’intera generazione è cresciuta senza conoscere gli Electric Peace, nonostante lo scenario di brutalità e decadenza metropolitana raccontato da Kild non sia mutato di un solo fotogramma.

Ma anche con i ventenni di allora non correva buon sangue. Le cronache parlano di concerti semideserti che erano più raduni per biker che eventi per le orde di “alternative kids” della zona e di dischi che giravano in poche centinaia di esemplari fra i “carbonari” dell’epoca. Perché su una cosa gli Electric Peace primeggiavano su tutti: essere orgogliosamente fuori da ogni cliché e da ogni stile preconfezionato, riuscendo a tirare fuori un suono imbevuto di acid rock, di swamp blues, di hard rock, di rock gotico uguale a nient’altro se non a se stesso.

Un suono che scivolava sopra ogni cosa, come bitume. Ogni singolo brano degli Electric Peace era dominato da un perenne, consapevole senso di sfida, di minaccia e di tragedia imminente. Una tragedia che si sarebbe poi consumata, in circostanze e momenti diversi, negli ultimi anni di vita del gruppo. Ma ne parleremo al momento opportuno, ovvero quando a questo primo Greatest Hits verrà affiancato un secondo volume dedicato alle incisioni del secondo quadriennio. Più che quella della soleggiata e ridente costa ovest americana la musica degli Electric Peace sembrava proiettare l’immagine di una Gotham City dove Batman si faceva largo fra stridori di gomme e sirene di polizia (Sniper on a Rooftop).

Dinamite, bombe, fucili e coltelli (come quello brandito da Tom Dooley nell’omonima murder ballad che chiude la breve scaletta) sono i protagonisti assoluti di Rest in Peace, l’album d’esordio del 1985 qui riproposto per intero assieme a due estratti dall’EP omonimo di due anni più vecchio, alla storica I Think I’ll Die inserita da Greg Shaw sul terzo volume delle sue Battle of the Garages e a sei pezzi da Road to Peace, il formidabile album rifiutato dalla Enigma e che avrebbe dovuto invece segnare il debutto della formazione formata all’epoca da Brian Kild, Greg Welsch e Rick Winward. Armi, motori, sesso. Questo era il mondo di Brian Kild e della sua gang. Pure a costo di rimetterci la pelle o di arrivarci vicino. Puro noir metropolitano. Pura, delirante vertigine americana. (Franco Dimauro)

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