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Il 21 gennaio 2022 è uscito La mia patria attuale, il nuovo album del musicista e scrittore Massimo Zamboni.
Vista la sua disponibilità, abbiamo colto l’occasione per porgli qualche domanda. Buona lettura. (La redazione)
Quando e da dove nasce La mia patria attuale?
Nasce dalla somma di una solitudine che trova contatto con altrettante solitudini (individuali o di gruppo) radicate e residenti in vari luoghi d’Italia. Ambiti di resistenza, non necessariamente figli di opposizioni novecentesche in cui rispecchiarsi e trovare medesime motivazioni di vita, lontane da pensieri dominanti. E un riformulare in maniera inesausta la propria appartenenza, sezionandola. Un percorso pluridecennale che per arrivare alla forma della penisola ha dovuto attraversare l’impero sovietico, la Mongolia, la linea Trieste Berlino, Mostar, l’Emilia….
Quanto di intimo e personale c’è in questo nuovo disco?
Tutto. È sempre un mio esserci di fronte al mondo, un guardarlo, soffrirlo, goderne. Il centro della ricerca è sempre quello di espandere il proprio intimo offrendolo agli altri, un guardarsi negli occhi reciproco e paritario.
Dove sta andando la musica e qual è stato il suo principale insegnamento in tutti questi anni di carriera?
Dove sta andando non lo so, e francamente non mi sembra un tema troppo interessante. Tante volte mi chiedo se io sia davvero un musicista/cantante o altro, tanto distacco sento da quella che potrebbe essere una disciplina artistica. La musica come categoria di per sé mi ha insegnato poco, se non tentazioni inutili. Al contrario agisce la vita, insegnando molto a chi vuole apprendere. Ma certo ci sono musiche e musicisti che ti cambiano la vita.
Come hai vissuto questi tempi sospesi segnati dalla Pandemia e cosa ne hai tratto dal punto di vista artistico, filosofico, sociale…
Li ho potuti vivere in relativa serenità, vivendo da 30 anni in maniera appartata sull’Appennino la vita quotidiana non è cambiata granché. Dai punti di vista che mi indichi, onestamente non ho tratto molto più di quello che avevo tratto già, ovvero che non è pensabile un futuro delineato da una espansione senza fine e che la vita “normale” delle moltitudini non è più sopportabile dal pianeta. C’è molto spazio per soluzioni individuali, pochissimo per quelle collettive.
Oggi, in un mondo oramai globalizzato, qual è il significato di patria?
Non può essere una difesa spaventata dalla mancanza di un confine che ci definisca. Come diceva Mazzini, Patria è l’idea che sorge su un territorio, nazionale e geografico; una presenza immateriale che ci richiama a una storia, a una cultura e a un ordine. Ma non a una clausura. L’Italia è sempre stato un paese attraversato e plurisangue.
(Articolo coperto da copyright. Per informazioni, contattare l’editore di questo blog.)
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