Ian Felice – In the Kingdom of Dreams, 2017 | Recensione

Un disco all’insegna del folk americano, discreto, intimo e dall’impianto prevalentemente acustico.


Ian Felice esce dal gruppo, mi verrebbe da dire, quello formato nel 2006 con i fratelli James e Simone e che ha preso il nome, manco a dirlo, di Felice Brothers.

Esce, probabilmente, non in maniera definitiva, ma semplicemente per dare vita a questo suo primo, delizioso album da solista dal titolo In the Kingdom of Dreams.

Un disco all’insegna del folk americano – discreto, intimo e dall’impianto prevalentemente acustico – che lo smilzo studioso d’arte ha registrato nella sua casa d‘infanzia a Palenville, New York, con l’apporto dei due fratelli e di Josh Rawson, dando fondo ai propri ricordi e a ogni emozione scaturita.

Ecco quindi che la sua casa d’infanzia e le rive del torrente Kaaterskill si trasformano in una specie di regno dei sogni dove rifugiarsi dalle angosce quotidiane e dai conflitti interiori, cercando di esorcizzare i mali di una società sempre più folle e materiale che, purtroppo, continua ad annaspare in una spasmodica quanto effimera ricerca della felicità.

In the Kingdom of Dreams diventa così un piccolo scrigno di canzoni attraverso cui il folksinger racconta, con voce stupenda e con intenso trasporto, non solo di quando era bambino, compresa la morte del papà avvenuta quando aveva soltanto 8 anni, ma anche le insicurezze e le paure dell’essere adulto come, per esempio, quella di diventare padre.

E il risultato finale è quasi un colpo al cuore. Un susseguirsi di memorie che tra realtà e immaginazione trovano spazio sia in queste dieci tracce, prodotte da James Felice, che in una raccolta di componimenti in versi dal titolo “Hotel Swampland”.

Quando insomma la bellezza dell’animo diventa musica e anche poesia. (Luca D’Ambrosio)

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